Ludovica Brofferio1, Enrico Finale2
1 Infermiera, SC Oncologia ginecologica e Breast Unit, Città della Salute e della Scienza, Ospedale Sant’Anna, Torino.
2Ostetrico Senior, SOC Ostetricia e Ginecologia, ASL VCO, Verbania
La violenza sessuale è un grave delitto dalle molteplici dimensioni: fisiche, psicologiche, emotive, culturali e sociali. L’obiettivo dell’articolo è offrire una possibile guida per la presa in carico della paziente vittima di violenza sospetta o accertata.
La definizione di violenza sessuale

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per “violenza sessuale” si intende ogni atto finalizzato a ottenere un atto sessuale; commenti, avances o azioni a sfondo sessuale diretti verso la sessualità di un’altra persona, con atteggiamento impositivo, da parte di chiunque, senza differenza di relazione con la vittima, in ogni contesto, non solo quello domestico o lavorativo. In tutto il mondo la violenza sessuale assume diverse forme e può includere, oltre allo stupro: molestie, matrimonio o convivenza forzati, mutilazione dei genitali e sfruttamento della prostituzione (1). Oltre alla definizione di violenza sessuale, l’OMS classifica come Intimate Partner Violence (IPV) la violenza subita all’interno di una relazione intima che comprende danni fisici, sessuali e psicologici attraverso aggressioni fisiche, violenza psicologica, sessuale e comportamenti controllanti (2).
Un’indagine ISTAT del 2014 denuncia che il 31,5% delle donne tra 16 e 70 anni ha subito nel corso della sua vita una forma di violenza fisica o sessuale. Tra di esse, il 20,2% ha subito violenza fisica; il 21%, violenza sessuale; il 5,4% è stata vittima di stupro o tentato stupro. Il 13,6% delle donne è stata vittima del partner o di un ex-partner; il 24,7% ha subito una violenza fisica o sessuale da uomini sconosciuti, conoscenti, colleghi di lavoro, parenti o amici (3).
Le conseguenze della violenza sessuale
La violenza sessuale è associata a conseguenze fisiche e psicologiche significative (2):
- Durante l’infanzia e l’adolescenza, sia nei maschi sia nelle femmine, è legata al rischio di sviluppare problemi di salute e/o di comportamenti dannosi per la salute.
- Tra le donne in età adulta è legata a un tasso più elevato rispetto alla popolazione generale di gravidanze indesiderate, aborti, complicanze durante la gravidanza, malattie veneree, problemi di salute mentale, suicidi, abuso di alcool o di sostanze stupefacenti (4).
- In generale, i figli delle donne vittime di violenza domestica godono di uno standard inferiore di salute e di educazione; possono soffrire di disturbi emotivi e del comportamento; rischiano più frequentemente di imbattersi in situazioni di violenza durante la loro vita.
Il primo contatto con la donna nei Servizi Sanitari
Gli infermieri e le ostetriche sono spesso la prima figura che la donna incontra quando accede ai servizi sanitari:
- Pronto soccorso,
- Reparti di degenza (i.e. Ortopedia, Ginecologia, Otorinolaringoiatria etc),
- Ostetricia,
- Interruzione volontaria di gravidanza,
- Malattie infettive,
- Pediatria,
- Salute mentale,
- Servizi per le dipendenze patologiche.
Un terzo delle vittime di stupro non riporta il fatto ai Medici di Medicina Generale (5).
È bene ricordare che, talvolta, le donne possono presentarsi ai Servizi Sanitari a causa delle dirette conseguenze fisiche o psicologiche della violenza e non per denunciare spontaneamente l’accaduto.
Quando si sospetta una violenza
L’OMS sconsiglia di sondare situazioni di violenza sessuale su tutte le pazienti (2). I segni fisici o altri disturbi che possano verosimilmente far sospettare una violenza subita devono, però, spingere i Professionisti sanitari a indagare:
- disturbi della sessualità, dolore pelvico cronico, dismenorrea (4);
- depressione, stress, ansia, uso o abuso di sostanze;
- pensieri o azioni autolesivi;
- ferite ripetute o non chiaramente spiegabili;
- gravidanze non desiderate;
- ripetuti test di screening per le malattie infettive;
- dolore generalizzato cronico a eziologia non definibile;
- ripetuti accessi ai Servizi Sanitari che non conducono a una diagnosi certa;
- appuntamenti alle visite disattesi;
- partner intrusivi durante le visite e le valutazioni cliniche;
- bambini con disturbi emotivi o del comportamento.
L’atteggiamento da mantenere durante il colloquio con la donna è sempre non giudicante. Se la donna è accompagnata dal partner, la questione deve essere avanzata solo quando ci si trova da soli con lei. In un primo momento, sarebbe opportuno richiamare l’argomento indirettamente: “Va tutto bene a casa?”, “Ho visto molte donne con problemi come i tuoi.”, “Molte donne hanno problemi con i mariti.”. Solo successivamente potrebbero essere proposte domande più precise e dirette: “Il tuo partner ti ha mai fatto male?”; “Ti ha obbligata ad avere rapporti quando tu non volevi?”; “Hai paura del tuo partner?”; “Ti senti sicura a tornare a casa oggi?”. Se la donna non risponde, però, sarebbe opportuno evitare un susseguirsi di domande; programmando, al contrario, un nuovo appuntamento nei giorni successivi, sempre però assicurando il costante supporto clinico.
Ignorare la violenza determina sempre gravi “strascichi” per la donna (2) infatti, non riconoscere la violenza dietro ad alcuni disturbi cronici, preclude alla vittima l’accesso a cure specifiche e appropriate. È possibile, ad esempio, che possa non essere attuata una corretta profilassi per le malattie infettive; che possano aumentare le gravidanze indesiderate o che vengano attuate pratiche abortive non sicure. Abbandonare la donna in situazioni di violenza e non riconoscere segni di paura o di distress emotivo potrebbe, nei casi più gravi, portare a scelte estreme come il suicidio.
L’accoglienza in Pronto Soccorso
Uno sguardo al Codice Penale
L’articolo 609 bis del Codice Penale prevede che “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. Il delitto è punibile a querela di parte offesa, vale a dire che la vittima deve scegliere spontaneamente se sporgere denuncia. Una volta esposta, però, la denuncia è irrevocabile per proteggere la donna da eventuali costrizioni a ritirarla. Tuttavia, i sanitari hanno l’obbligo di procedere alla denuncia d’ufficio se il reato è commesso:
- nei confronti di una persona che non ha compiuto 18 anni,
- dalla persona a cui il minore è affidato e che abbia con la vittima una relazione di convivenza (ad esempio un genitore, anche adottivo, o il tutore),
- da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni.
Una figura esperta: il Sexual Assault Nurse Examiner (SANE)
Il Sexual Assault Nurse Examiner (SANE) è un infermiere oppure, in taluni contesti, un’ostetrica che, dopo aver conseguito una formazione specifica (6) e ottenuto una certificazione, applica il processo assistenziale secondo gli standard basati sulle evidenze dell’infermieristica forense e garantisce che tutti i pazienti vittime di violenza sessuale ricevano un accertamento clinico competente e personalizzato, tenendo cioè in considerazione ilbackground culturale, razziale, l’identità sessuale e il livello socio-economico. Il SANE è in grado di accertare e intervenire secondo i problemi assistenziali acuti e prioritari della vittima di violenza ed erogare un’assistenza coordinata e interdisciplinare con tutte le figure coinvolte nel processo, il Sexual Assault Resource Team (SART).
Le priorità di intervento
Gli interventi devono sempre garantire la salute fisica ed emotiva della donna (2):
- raccogliere il consenso informato,
- raccogliere l’anamnesi medica generale e ginecologica,
- condurre l’esame fisico obiettivo, incluso l’esame pelvico,
- accertare e trattare le lesioni fisiche,
- testare e trattare la donna per le malattie sessualmente trasmissibili,
- valutare la necessità della contraccezione di emergenza,
- dimettere la donna con un supporto sanitario, psicologico e sociale.
L’esame obiettivo testa-piedi
L’infermiere e l’ostetrica possono migliorare il contesto in cui il colloquio e la visita vengono condotti. Anche l’ambiente può essere curativo (6) se silenzioso, calmo, confortevole, idealmente distante dalla confusione del triage.
Il colloquio dovrebbe iniziare con la raccolta dell’anamnesi medica generale e ginecologica della paziente. In un secondo momento, si dovrebbe passare alla storia specifica della violenza subita. Parlandole, il sanitario si rende conto del comportamento della donna e del suo stato mentale: Si presenta agitata? Distratta? Silenziosa? Arrabbiata? Apatica? Confusa? Ha difficoltà nel parlare? Esprime pensieri ricorrenti o autolesivi? Inoltre:
- permettere alla donna di avere vicino a sé una persona desiderata,
- permetterle di scegliere il sesso della persona che la esaminerà o di avanzare altre richieste,
- considerare l’età della vittima, il livello culturale e l’orientamento sessuale,
- mantenere al minimo il numero di presenti nella stanza,
- prevedere la presenza di un osservatore esperto (SANE) e spiegarne alla donna il ruolo,
- chiedere il permesso prima di cominciare e spiegare passo dopo passo che cosa si sta per fare prima di procedere,
- iniziare osservando il corpo della paziente,
- indagare continuamente il suo stato emotivo (e.g. “Si sente a suo agio?”; “Ha problemi a essere toccata?”).
La raccolta di dati anamnestici e di segni o sintomi che possano essere utilizzati in sede processuale deve avvenire solo se:
- la donna si è presentata entro 7 giorni dalla violenza,
- la donna ha deciso di denunciare o la denuncia deve essere inoltrata d’ufficio,
- è disponibile un laboratorio adatto,
- è disponibile un operatore esperto.
L’OMS (1) ricorda che:
- L’assenza di segni fisici non esclude la violenza.
- È necessario documentare il più precisamente e accuratamente possibile il tipo, la misura, il colore, l’esatta posizione delle lesioni, annettendo eventuali altri particolari (ad esempio con rilievi fotografici).
- È importante limitarsi a descrivere senza cercare di interpretare. Infatti, non spetta ai professionisti sanitari stabilire se la violenza sessuale sia stata effettivamente consumata.
Di seguito, si riportano le check-list per l’esame fisico e pelvico.


Il medico potrebbe propendere per il ricovero della paziente in caso di:
- lesioni estese,
- insufficienza respiratoria,
- deficit neurologici,
- rigonfiamenti articolari che possano ricondurre a un’artrite settica,
- comunque in tutte quelle condizioni in cui si rendano necessarie cure specifiche.
La profilassi delle malattie infettive
Secondo le Raccomandazioni dei Centers for Disease Control and Prevention (7) il test dell’HIV andrebbe consigliato a tutte le vittime. Inoltre, la profilassi post-esposizione
- Deve essere somministrata entro 72 ore dall’evento e proseguita per 28 giorni. Deve essere associata a una terapia antiemetica e antalgica di supporto per via degli effetti collaterali.
- Deve essere sospesa nel caso in cui, nel frattempo, si sia accertata la sieropositività della paziente o la negatività sierologica dell’assalitore.
- Deve essere iniziata nel più breve tempo possibile se le dinamiche dall’evento hanno esposto la donna a un rischio significativo di contagio.
- Prevede l’assunzione giornaliera di associazioni di farmaci antivirali e antiretrovirali.
- Deve essere prescritta dopo una valutazione caso per caso nelle situazioni incerte.

Somministrare la terapia antibiotica indicata per la prevenzione o il trattamento di:
- Chlamydia,
- Gonorrea,
- Trichomonas.
La sifilide è meno diffusa e la profilassi contro la gonorrea sembra essere sufficiente.
Infine, sono raccomandati i vaccini contro HBV, HPV e tetano.
La prevenzione delle gravidanze indesiderate
Il rischio di gravidanze indesiderate dopo uno stupro si aggira intorno al 5%. L’incidenza è più alta tra le adolescenti per il ridotto utilizzo di metodi contraccettivi e per la più alta fertilità. Comunemente, le donne propendono per l’interruzione di gravidanza (4).
La contraccezione d’emergenza prevede la somministrazione di preparati orali progestinici da assumere in un’unica somministrazione, entro e non oltre 72 o 120 ore a seconda del principio attivo.
L’efficacia della terapia nella prevenzione di una gravidanza è stimata intorno al 98,5% (4).
L’infermiere e l’ostetrica dovrebbero spiegare alla donna che la contraccezione d’emergenza:
- prevede un minimo margine di fallimento,
- non la proteggerà per i successivi rapporti non protetti,
- non può essere assunta di routine come un normale contraccettivo,
- potrebbe provocare nausea, vomito, fatigue, dolore addominale e sanguinamento vaginali,
- può essere assunta contemporaneamente alla terapia antibiotica e antiretrovirale profilattica, ma sarà prescritta anche una copertura antiemetica.
Infine, se richiesto, la donna dovrebbe essere accompagnata lungo il percorso per l’interruzione volontaria di gravidanza dopo un approfondito counselling ginecologico e secondo i criteri di legge.
Supporto relazionale
La relazione (6) tra infermiere/ostetrica e paziente è lo spazio entro il quale sono condivisi informazioni, pensieri, preoccupazioni e sentimenti. Una buona relazione conduce a raggiungere obiettivi assistenziali di qualità. Non esistono reazioni “normali”dopo una violenza sessuale (5). Le reazioni della donna dopo uno stupro variano dall’anestesia emotiva, alla risata nervosa; dalla rabbia al rifiuto. Nei giorni o nelle settimane successive all’evento la donna accusa reazioni fisiche come dolore generalizzato, disturbi dell’appetito e del sonno, rabbia, paura, umiliazione, senso di colpa, vergogna, sbalzi di umore. Successivamente, sopraggiungono incubi, fobie, flashback, disturbi somatici e ginecologici. Con gli anni, senza un percorso psicologico e cognitivo-comportamentale, avviato precocemente e mantenuto nel tempo, la donna può sviluppare un disturbo post-traumatico da stress. (4)
I professionisti che si occupano della presa in carico dovrebbero porsi con un atteggiamento estremamente empatico, vista la delicatezza del momento. Le parole utilizzate non dovrebbero in alcun modo colpevolizzare la vittima, qualsiasi fatto abbia preceduto la violenza (per esempio l’assunzione volontaria di alcool o droga) (4). Incolpare o non rispettare la paziente per quanto accaduto può seriamente infliggere un ulteriore trauma (2).
Anche curare la comunicazione non verbale permette alla donna di sentirsi trattata con dignità.
È fondamentale mettersi all’ascolto della sua storia senza incorrere in distrazioni: indagare i suoi bisogni, dubbi e preoccupazioni; fare in modo che la donna capisca che le stiamo credendo; porre domande aperte che stimolino il racconto e le permettano di esprimersi liberamente.
La scelta di sporgere denuncia o abbandonare il proprio domicilio non dovrebbe essere imposta dai sanitari, ma, all’interno di una relazione d’aiuto, la paziente dovrebbe essere supportata nelle proprie decisioni, affinché possa prenderle in maniera informata e consapevole.
Camminare nelle sue scarpe…
Per le pazienti la scelta di chiedere aiuto ai sanitari è coraggiosa e faticosa perché spesso le barriere sono più numerose delle risorse disponibili (2): potrebbero non disporre di una macchina come mezzo di trasporto o non poter contare su nessuno nella gestione quotidiana dei figli o, ancora, potrebbero avere elaborato l’idea che subire violenza è normale e che lei debba per forza, quasi per sua colpa, vivere in circostanze violente.
Il professionista sanitario dovrebbe sforzarsi di acquisire consapevolezza dei propri pregiudizi; rendersi conto di quanto essi possano influenzare negativamente la relazione e lasciarli sempre da parte. Ad esempio, è possibile che ci si trovi a domandarsi: “Perché semplicemente non lo lascia?” oppure “Come ci è finita in questa situazione e perché non ne esce?”. Dimostrare di aver compreso la situazione, di prendere seriamente la vicenda e le difficoltà possono aiutare la paziente a rinforzare il suo stesso valore di donna.
Prendersi cura di sé stessi
Anche la salute emotiva degli infermieri e delle ostetriche è un aspetto da salvaguardare per evitare moral distress. È necessario essere consapevoli delle proprie emozioni e reazioni. Riconoscere di aver bisogno di un supporto psicologico, in particolare se si è vissuto in prima persona un’esperienza in qualche modo sovrapponibile alla storia che la donna sta raccontando (2).
La dimissione protetta (2)
- Ascoltare dubbi o domande.
- Discutere sugli effetti collaterali delle terapie.
- Discutere l’importanza di completare le terapie prescritte.
- Educare all’autocura delle ferite e tornare in ospedale se ci sono segni o sintomi di peggioramento.
- Trattare segni e sintomi delle malattie veneree e consigliare di farsi visitare se si notano.
- Consigliare semplici esercizi di coping: diario del sonno, diario per l’attività fisica, esercizi semplici di rilassamento.
- Pianificare un follow-up a breve e medio termine (programmando test di gravidanza, test per HIV o epatiti a 3 e 6 mesi, visite psicologiche o psichiatriche).
- Incoraggiare la donna a richiedere il supporto del Medico di Medicina Generale.
- Attivare l’assistente sociale per un piano di protezione per la donna e i figli.
- Richiedere la consulenza del Medico legale in caso di dubbi operativi.
- Attivare le Forze dell’Ordine se la donna sceglie di denunciare la violenza.
Evitare di esporla a pericoli una volta tornata a casa:
- Mantenere la confidenzialità dei colloqui.
- Fornirle referti o altri documenti sanitari che giustifichino la sua presenza in ospedale.
Conclusioni
La donna può essere vittima di violenza sessuale dentro e fuori casa. Infermieri, ostetriche e medici hanno un ruolo fondamentale per identificare e supportare le vittime di violenza. La risposta alla donna deve essere coordinata tra i sanitari, gli assistenti sociali, gli psicologi, i medici legali, Forze dell’Ordine.
Una formazione continua sul tema deve tradursi nell’aggiornamento dei protocolli aziendali, dall’accoglienza alla pianificazione del follow-up. Inoltre, le Linee Guida internazionali dovrebbero essere adattate al contesto locale: (8)
- identificando i reparti più esposti,
- pianificando una formazione continua per i professionisti sanitari riguardo al corretto utilizzo dei protocolli,
- validando una documentazione di facile accesso e utilizzo,
- permettendo a ogni professionista di avere agile accesso a check-list e documentazione aziendale validata e ai numeri di telefono utili a cui far immediato riferimento (i.e. medicina legale, assistenti sociali, servizi di tutela dell’infanzia).
- Monitorando l’applicazione dei protocolli.
- Allestendo spazi e percorsi dedicati per garantire la privacy della paziente.
La disponibilità, all’interno della Struttura Sanitaria, di una figura esperta come il SANE facilita l’adeguamento della pratica clinica alle raccomandazioni di best practice internazionali, migliora la qualità delle prove raccolte e la possibilità che il reato venga punito (6).
Bibliografia e sitografia
- World Health Organization. Health care for women subjected to intimate partner violence or sexual violence. A clinical Handbook. Geneve. 2014.
- World Health Organization. Caring for women subjected to violence: A WHO curriculum for training health-care providers. Geneve. 2019.
- ISTAT. Il numero delle vittime e le forme di violenza. Disponibile all’indirizzo web: https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza [Ultimo accesso in data 08/06/2020]
- American College of Obstetricians and Gynecologists. Committee on Health Care for Underserved Women. Committee opinion no. 499: Sexual assault. Obstet Gynecol. 2011;118(2 Pt 1):396‐399. doi:10.1097/AOG.0b013e31822c997c.
- Linden JA. Clinical practice. Care of the adult patient after sexual assault. N Engl J Med. 2011;365(9):834‐841. doi:10.1056/NEJMcp1102869.
- Lechner M, Britton-Susino M, Daiber D, et al. Sexual Assault Nurse Examiner (SANE). Education Guidelines. International Association of Forensic Nurses. 2018.
- Updated Guidelines for Antiretroviral Postexposure Prophylaxis after Sexual, Injection-Drug Use, or Other Nonoccupational Exposure to HIV – United States, 2016. MMWR Morb Mortal Wkly Rep. 2016;65(17):458. doi:10.15585/mmwr.mm6517a5.
- World Health Organization. Strengthening health systems to respond to women subjected to intimate partner violence or sexual violence. A manual for health managers. Geneve. 2017.