A colloquio con chi da anni è in prima linea per le battaglie civili, sociali e mediche delle persone con infezione da HIV
Il presente articolo inaugura una serie di incontri virtuali nell’area infettivologica di Medici Oggi con il mondo dell’associazionismo dei pazienti.
Nel primo di questi incontri abbiamo l’onore di intervistare Margherita Errico, presidente dalla fondazione di NPS Italia Onlus, il network italiano persone sieropositive creato nell’aprile 2004. L’occasione è fare una riflessione sui temi caratterizzanti l’ultima Giornata Mondiale contro l’AIDS (World AIDS Day), celebratasi come ogni anno il primo dicembre e istituita proprio trent’anni fa.
NPS Italia Onlus è il primo gruppo italiano creato esclusivamente da persone con HIV, attive in tutti gli ambiti cruciali nel contrasto all’infezione: prevenzione, informazione, sostegno psico-sociale. Il network è attivo sul territorio e sul web, e si giova del supporto di un prestigioso comitato scientifico, composto dai principali Key Opinion Leader del settore. La Errico a sua volta fa parte del panel di esperti italiani (HIV/AIDS Italian Expert Panel) che hanno redatto le più recenti linee guida nazionali sull’utilizzo dei farmaci antiretrovirali e sulla gestione delle persone con infezione da HIV.

Partiamo dal tema dell’edizione 2018 della Giornata Mondiale contro l’AIDS: “know your status”. Quali sono in Italia le barriere che ostacolano ancora la piena emersione del cosiddetto “sommerso”, ovvero dell’individuazione delle persone non ancora consapevoli della loro sieropositività?
Ad oggi gli ostacoli arrivano dalla stigmatizzazione ancora presente intorno al test dell’HIV, che viene associato per lo più a persone appartenenti a categorie a rischio lì dove le categorie a rischio sono un concetto altrettanto discriminante ed aberrante. Si parla di comportamenti a rischio spesso relazionati alla sfera sessuale, per cui si tratta di un concetto che riguarda tutte le persone sessualmente attive. Mentre ciò che accade è che le persone non si sentono a rischio sebbene abbiano avuto rapporti non protetti con partner sconosciuti o comunque con partner occasionali. Oggi le azioni della comunità LGBT in favore della consapevolezza del proprio stato sierologico stanno facendo dei passi in avanti, chi resta fuori è tutta quella fetta di persone eterosessuali, maschi e femmine, che non viene raggiunta né dai servizi sanitari né dai servizi territoriali e di volontariato. Ad oggi infatti, i dati COA (Centro Operativo AIDS) del 2017 riferiscono che, su una percentuale totale di 84,3% di casi di infezione attribuibili a trasmissione sessuale, 45,8% di questi sono attribuibili a casi eterosessuali di cui il 55% tra gli uomini etero, dato che è in costante aumento. In definitiva, la principale barriera oggi è la mancanza di consapevolezza individuale e collettiva dei propri comportamenti sessuali, nonché la totale assenza di informazione e sensibilizzazione tra i giovani, sia nelle scuole che nei luoghi di aggregazione.
Già nel 2008 l’EKAF, la Commissione Svizzera per l’AIDS, dichiarava che tutte le persone HIV-positive in terapia antiretrovirale efficace (ossia con assenza di virus nel sangue da almeno sei mesi) non erano contagiose. Sia all’epoca che successivamente c’è stato grande dibattito, ma a un decennio di distanza l’equazione U=U (undetectable=untransmissable, ovvero virus non rilevabile, virus non trasmissibile) è propugnata dalle istituzioni scientifiche più importanti alla luce di solide evidenze. Qual è l’impatto di questo messaggio e come si può veicolarlo al meglio?
Dai tempi della coorte di studio di Vernazza sono passati ben 10 anni e siamo passati da poco più di 200 pazienti agli oltre 12 mila arruolati dello studio Partner, o tanti altri di altri studi clinici che hanno ampliato il raggio di studio per dimostrare che avere rapporti non protetti non comporta trasmissione di HIV, se uno dei due partner con infezione è a carica virale azzerata grazie all’assunzione regolare delle terapie antiretrovirali (stabilmente da almeno 6 mesi per entrare nello studio), ma di fatto non è cambiato quasi nulla per noi persone con HIV. La popolazione generale non ha assolutamente idea di che cosa stiamo parlando, perché l’argomento non è divulgato. Lo stesso Ministero della Salute italiana non ne fa ancora menzione, nonostante noi associazioni si faccia pressione da tempo su questo argomento. In Europa e all’estero questi temi sono affrontati con molta più naturalezza, solo in Italia siamo costretti ad esultare se il nostro governo ogni tanto parla di preservativo, ma non di più. Il fatto che l’OMS ne parli a quanto pare non costituisce un valore sufficiente per i nostri governatori per poterne parlare. L’impatto di questo messaggio sarebbe di certo da preparare sulla collettività tutta, che ormai è fin troppo a digiuno rispetto a questo tipo di informazioni, nel senso che andrebbe comunque inquadrato in una strategia più ampia di prevenzione e di lotta allo stigma, tenuto conto che il giornalismo odierno è di scarsa qualità e non veicolerebbe correttamente il messaggio.
Considerando l’equazione U=U e i dati di efficacia, emersi fin dal 2015, legati a una terapia il più precoce possibile, anche nelle persone asintomatiche e con sistema immunitario non compromesso, il trattamento acquisisce una valenza sia individuale che sociale mediante l’approccio TasP (Treatment as Prevention). Qual è la migliore strategia per garantire un adeguato “linkage to care” e una stabile aderenza alle cure?
Non credo si possa identificare una sola strategia che possa garantire il linkage to care, soprattutto tenendo in considerazione il nostro panorama sanitario fatto di 21 sanità differenti. La riforma del titolo V ha creato enormi disparità e al di là di una regola generale che possa essere fornita ci si deve poi confrontare con le possibilità sanitarie ed economiche delle singole realtà, anche se noi attivisti lottiamo per una sanità equa e di diritto al di là di questi fattori economici che non devono riguardare il paziente. Inoltre, in Italia sul “linkage to care” mancano ancora molti dati scientifici che stiamo cercando di raccogliere proprio in questi mesi grazie ad un progetto ricerca-azione che vede come capofila l’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma affiancato da noi attivisti delle associazioni di lotta all’AIDS, quindi speriamo a breve di portare dati utili a questo tema. Sull’aderenza alle cure invece abbiamo concluso da poco un progetto simile con lo stesso ente sulla “retention in care” che, per esempio, ha messo in evidenza il fatto che la mancata retention in care spesso non arrivi inaspettata, dato che per lo più gli operatori hanno idea di quando un paziente potrebbe essere a rischio, e soprattutto il fatto che non esistano indicazioni condivise di quando una persona debba considerarsi lost to follow up, lasciando alla singola struttura e più frequentemente al singolo infettivologo la decisione di quando ritenere che un paziente si sia perso.

Passando dal versante della terapia a quello della prevenzione primaria, uno dei temi più controversi attualmente è quello della PrEP, la profilassi farmacologica pre-esposizione, ossia prima di un potenziale contatto sessuale a rischio. Il potenziale rovescio della medaglia è un involontario disincentivo all’utilizzo del condom, con incremento di altre malattie a trasmissione sessuale. Qual è la posizione al riguardo di NPS Italia?
La nostra posizione è favorevole all’introduzione della PrEP in Italia, ma solo se affiancata da monitoraggi clinici adeguati, poiché si tratta di una terapia antiretrovirale che a lungo andare ha pesanti effetti collaterali, al di là di quello che dimostrano gli studi clinici sul breve periodo. Ci deve essere qualcuno che si assuma la responsabilità di questo aspetto. Al momento ciò che più ci preoccupa è il fatto che molte persone in Italia stiano fornendosi del farmaco PrEP (tenofovir disoproxil fumarato più emtricitabina in una sola compressa) attraverso canali non convenzionali, ovvero tramite internet, e senza quindi nessuna supervisione medica. Ci sono alcuni gruppi vulnerabili che hanno particolare bisogno e tutti in egual modo devono aver garantito questo genere di strumento preventivo. Parlo di coppie sierodiscordanti in particolari condizioni, di sex worker, per esempio, oltre che degli MSM (men who have sex with men). L’OMS ha dichiarato che si tratta di una strategia preventiva combinata quella che va messa in atto, ovvero che oltre alla PrEP ci deve essere anche l’uso del condom per la altre malattie sessualmente trasmissibili e questo di fatto non accade, altrimenti non avremmo avuto assistiti lo scorso anno, per esempio, al picco di Epatite A durante l’EuroPride di Amsterdam nel 2016, denunciato dal nostro Istituto Superiore di Sanità o al recente triplicarsi del tasso di sifilide, così come segnalato negli ultimi 7 anni a Milano.
Rimanendo in ambito di prevenzione, l’Italia presenta un gap culturale rispetto ad altri Paesi europei? Quali sono le categorie più a rischio che meritano maggiore attenzione mediante apposite campagne di sensibilizzazione ed educazione?
Noi non parliamo di categorie a rischio ormai da anni. La risposta è piuttosto semplice dal nostro punto di vista: tutte le persone sessualmente attive che non usano il preservativo in rapporti occasionali o con partner di cui non conoscono lo stato sierologico sono a rischio. Lo dicono i dati italiani del COA, come accennato prima, che l’84,5% delle infezioni da HIV sono dovute a rapporti sessuali non protetti, per cui non è una nostra teoria. Restano da attenzionare quei gruppi di persone che per definizione sono detti “vulnerabili” per una serie di condizioni socio-economiche e culturali, come ad esempio le persone transgender, i minori, i consumatori di sostanze d’abuso, gli MSM, i sex worker: insomma tutte le persone sessualmente attive.
Un rapido parere su un paio di temi che si apprestano a dominare il dibattito a breve: a) le innovazioni terapeutiche come le terapie a lunga durata d’azione, che permetterebbero di evitare l’assunzione giornaliera di farmaci; b) la gestione della terapia nella persona anziana, una questione nata proprio dagli enormi benefici del trattamento antivirale sull’aspettativa di vita.
Come associazione di persone con HIV attente alla cura, seguiamo con molta attenzione l’innovazione terapeutica, perché dopo tanti anni di esperienza con le terapie antiretrovirali siamo molto esigenti per quel che concerne i risultati degli studi sulla tollerabilità, sull’efficacia a lungo termine, nonché i relativi effetti collaterali. Siamo stati per anni come delle cavie, mi si permetta il termine, e i farmaci long acting è inevitabile che portino nella real life, al di là dell’andamento del trial clinico, effetti non preventivati sulla popolazione sieropositiva a lungo termine.
Il grande risultato ottenuto con i farmaci antiretrovirali è quello di poter invecchiare con l’HIV, risultato insperato per tanti di noi e risultato al quale se qualcuno ci avesse detto che ci saremmo arrivati, non ci avremmo creduto. La vera sfida dal nostro punto di vista è sì invecchiare con l’HIV, ma invecchiare bene. Le comorbidità che inevitabilmente l’invecchiamento porta con sé si vanno a sovrapporre all’infezione cronica da HIV e quindi le interazioni farmacologiche che ne derivano sono un tassello in più da monitorare sia in termini diagnostici che terapeutici e non è affatto una sfida facile per i medici di oggi. Gli infettivologi non hanno quasi nessun collegamento con gli specialisti che ci dovrebbero seguire nelle diverse patologie che arrivano con l’avanzare dell’età e gli specialisti dal canto loro non hanno idea di cosa sia oggi l’HIV, non sanno dove sono arrivate le terapie, né tantomeno il concetto di U=U.
Quali sono le iniziative più importanti in corso di NPS Italia, e quali sono i programmi per il futuro prossimo?
Le nostre iniziative vanno avanti tutto l’anno per cui sono svariate. In alcune regioni andiamo personalmente e periodicamente nelle scuole superiori a fare interventi di prevenzione e sensibilizzazione su HIV e AIDS e di lotta allo stigma, distribuendo anche preservativi dove ci viene “concesso”. Al momento abbiamo 3 progetti nazionali che stanno partendo: uno dedicato all’empowerment delle coppie sierodiscordanti su tutto ciò che riguarda la non infettività (U=U) e la vita personale; uno sportello dedicato alle esigenze di salute delle persone transgender con HIV a Milano; l’apertura di un check point a Milano con altre associazioni di lotta all’AIDS per la somministrazione dei test rapidi capillari e al di fuori del contesto ospedaliero.