Prof. Silvano Monarca1, Dr. Andrea Boni2
1Ordinario di Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Perugia e Brescia
2Urologo e Andrologo presso la S.C. Inter-aziendale di Clinica Urologica (Perugia-Terni)
Οὐ τεμέω δὲ οὐδὲ μὴν λιθιῶντας, ἐκχωρήσω δὲ ἐργάτῃσιν ἀνδράσι πρήξιος τῆσδε….
“Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività…” (Giuramento di Ippocrate)
Diversi tipi di acqua?
Le principali differenze tra le acque minerali e le acque di rubinetto dipendono da diversi fattori: il tipo di acqua di origine, le norme che ne regolano la qualità, i limiti di legge e la frequenza dei controlli, le proprietà salutari, la qualità e quantità delle informazioni ai consumatori e infine l’impatto ambientale e quello economico. Una Commissione FAO-OMS ha elaborato regole e normative internazionali (Codex Alimentarius) per proteggere la salute dei consumatori e, a proposito di acque minerali naturali, prescrive di non mettere sull’etichetta affermazioni su effetti sanitari, a meno che non siano verificati scientificamente (WHO-FAO, 2007).
- ACQUE MINERALI. Secondo le norme vigenti (D.Lgs. 8-10-2011 n. 176), sono considerate “acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute“. Le acque minerali, dunque, devono essere pure all’origine, non devono subire trattamenti e devono essere imbottigliate alla fonte o in stabilimenti appropriati. In anni recenti l’uso di queste acque è divenuto principalmente quello di acque da tavola, in sostituzione delle acque di rubinetto.
- ACQUE DI RUBINETTO. Le acque di rubinetto, insieme alle acque utilizzatenell’industria alimentare e a quelle distribuite in cisterne (in caso di emergenza), sono definite (D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31l) acque potabili e possono essere trattate prima di essere destinate al consumo umano. Le acque potabili possono provenire da acque naturali (meteoriche, superficiali, sotterranee) e, con o senza trattamento, devono possedere le caratteristiche essenziali per essere “potabili”,cioè devono essere incolori, insapori, inodori, prive di sostanze tossiche e di batteri patogeni. In linea di massima le acque di rubinetto in Italia sono di buona qualità: per l’85% provengono da falde sotterranee e sorgenti e solo per il 15% provengono da laghi e fiumi per cui necessitano di trattamenti complessi per essere purificate; dunque la loro qualità dipende non solo dalla qualità dei corpi idrici ma anche dai trattamenti effettuati. A condizionare la qualità di questi due tipi di acqua è anche lo stato in cui si trovano le reti idriche che portano l’acqua fino al rubinetto di utilizzo finale
Trasmissione del Coronavirus tramite acqua di rubinetto?
Prima di cominciare a trattare l’argomento in oggetto, chiariamo fin da subito, per dovere di cronaca di attualità, che il nuovo Coronavirus (CoVid-19) si trasmette da persona a persona attraverso le goccioline per via aerea, le mani e le superfici contaminate. Sulle superfici, Coronavirus simili hanno dimostrato di rimanere infettivi da 2 ore fino a 9 giorni, ma possono essere inattivati con la disinfezione per 1 minuto tramite etanolo al 62-71%, acqua ossigenata allo 0.5% o ipoclorito di sodio allo 0,1%.
La trasmissione per altre vie quali la via enterica è molto improbabile. Pertanto non ci sono rischi per virioni eventualmente ingeriti con l’acqua di rubinetto. Inoltre il residuo di cloro presente per legge nelle acque condottate sarebbe sufficiente per neutralizzare i coronavirus e altri microrganismi.
Acque dure: da digerire?
Nel corso degli anni dall’osservazione empirica del calcare che lascia un’acqua dura, cioè contenente molto calcio e magnesio, derivano i pregiudizi che si sono creati: “l’acqua dura fa male alla salute”; “L’acqua dura fa venire i calcoli”; “L’acqua dura non si digerisce, è pesante”.
La durezza è un indice legato all’abbondanza degli ioni calcio e magnesio. Acque troppo dure sono poco utilizzate perché producono vari inconvenienti, quali la formazione di calcare nelle tubazioni e nelle caldaie, il consumo eccessivo di detergenti, la cattiva cottura dei vegetali e dunque vengono addolcite con vari sistemi. Comunque una durezza media (tra 15° e 30° F) o elevata (> 30°F) non produce problemi per la salute, anzi è un fattore protettivo per numerose malattie.

Equazione acqua dura e calcolosi: NON LASCIAMOCI INGANNARE!
Dal punto di vista scientifico non solo è assodato che l’acqua dura non produca calcoli renali, ma addirittura -udite, udite!- li previene: rigorosi studi epidemiologici mostrano che le acque dure sono addirittura preventive nei confronti della calcolosi. L’ipotesi biochimica alla base è rappresentata dalla possibilità che l’acido ossalico presente negli alimenti reagisca con il calcio alimentare e formi ossalato di calcio direttamente nell’intestino, in modo da farlo precipitare ed eliminare con le feci. In tal modo, l’acido ossalico assorbito e potenzialmente libero nei reni, responsabile della calcolosi urinaria, viene ridotto. E’ dunque importante che l’assunzione di calcio avvenga durante i pasti principali, proprio per contrastare l’assorbimento di ossalato.
In realtà, la prevenzione efficace della calcolosi da ossalati si basa su alcune norme, quali:
- bere molta acqua (2-3 litri al giorno);
- assumere calcio a sufficienza con la dieta o con l’acqua potabile, ma attenzione agli integratori a base di calcio perché possono aumentare il rischio di calcoli;
- ridurre il sodio (le attuali linee guida ne consigliano 2-3 grammi al giorno, con effetti positivi anche per l’ipertensione e le malattie cardiovascolari);
- limitare le proteine animali (carni rosse, pollame, uova, pesce, ecc.) poiché riducono i livelli di citrato, sostanza che previene i calcoli;
- cercare di evitare alimenti che contengono acido ossalico (cioccolato, spinaci, tè, noci, ecc.)
Nel caso in cui vengano assunti, sarebbe raccomandabile inserire nello stesso pasto cibi contenenti calcio (es. spinaci + parmigiano, cioccolato + latte, noci + formaggio, ecc.)
Saturazione e limite di soprasaturazione
La saturazione urinaria, fondamentale fattore litogeno, può aumentare per situazioni morbose quali ipercalciuria, iperossaluria, iperuricuria; per eccessiva disidratazione con iperconcentrazione dei soluti; per eccessiva introduzione o eccessivo assorbimento di sali litogeni. Quando la concentrazione degli ioni e delle molecole contenuti nelle urine raggiunge la zona del prodotto di formazione, inizia la nucleazione spontanea in forma cristallina, nucleazione omogenea. Una volta formatosi il cristallo, se persistono le condizioni di instabilità della soluzione, si assiste alla sua crescita. La matrice proteica che può essere di natura mucoproteica, o costituita da cellule di sfaldamento, coaguli, germi, rappresenta un fattore catalizzatore di una nucleazione eterogenea, facilitante la precipitazione e l’aggregazione dei cristalli.
Ultimo fattore litogeno è infine la ridotta attività inibitoria. Gli inibitori della cristallizzazione sono di natura organica (glucosaminoglicani o GAGs), ed inorganica (pirofosfati, citrati, magnesio e zinco); il loro meccanismo d’azione è quello di aumentare direttamente la solubilità di un determinato composto (esempio citrato con il calcio) oppure di impedire che il cristallo, una volta formatosi, possa crescere ed aggregarsi ad altri cristalli. Rappresentano, di fatto, degli “ammortizzatori biologici”, facendo sì che dei sali litogeni, pur raggiungendo le condizioni fisico-chimiche favorevoli alla cristallizzazione, possano rimanere ancora in soluzione. Ciò differenzia l’urina, soluzione “biologica”, da una soluzione “ideale”. A tutti questi meccanismi fisico-chimico-biologici della litogenesi occorre aggiungere l’intervento di fattori puramente meccanici.
Costituzione dei calcoli urinari
I calcoli urinari sono costituiti per oltre il 90% da materiale cristallino. L’urina è una soluzione poliionica complessa che mantiene in soluzione forti quantità di sali senza che avvenga la loro precipitazione. La solubilità di alcuni suoi componenti è funzione, oltre che del pH, della temperatura, della concentrazione, dell’interazione ionica che esercitano i soluti, anche di particolari modulatori biologici ad attività inibitoria sulla cristallizzazione. I fattori litogeni responsabili, da soli od in associazione, della calcolosi sono la saturazione urinaria, il deficit di inibitori della cristallizzazione e la produzione di una matrice proteica che costituirebbe lo stroma di aggregazione del futuro calcolo.
Principali fattori associati alla calcolosi urinaria
FATTORI INTRINSECI | FATTORI ESTRINSECI |
Etnia Più frequente nelle popolazioni euro-asiatiche Ereditarietà – Maggior frequenza nei genitori (22%) e nei fratelli (14%) di pazienti affetti – Maggior frequenza di ipertensione, obesità nei genitori – Associazione con acidosi tubulare renale Età e sesso – Picco di incidenza 3^-5^ decade con rapporto maschi/femmine 3:1 – Picco di esordio 20-30 anni – Età infantile rapporto maschi/femmine 1:1 | Fattori geografici – Aree ad elevata incidenza: USA, Europa, Nord del Pakistan e dell’India, Cina e Nord Australia – Maggiori incidenza nelle aree industrializzate Fattori climatici Incidenza stagionale con picco nei mesi a temperatura più alta Dieta – Eccessivo apporto di sostanze contenenti calcio e/o ossalati, ma soprattutto un regime iperpurinico – Diminuito introito idrico e composizione minerale dell’acqua |
Incidenza della calcolosi urinaria
L’incidenza della calcolosi urinaria dipende da fattori geografici, climatici, etnici, dietetici e genetici e varia dai 114 ai 720 casi ogni 100.000 persone; la prevalenza si aggira tra l’1,7% e il 14,8% con un tasso stimato di recidiva a 5 anni di circa il 50%. Studi epidemiologici e clinici hanno dimostrato che circa l’80% dei calcoli renali è composto da sali di calcio, generalmente ossalato di calcio, mono- o di-idrato (n.d.e.) e, meno frequentemente, fosfato di calcio, mentre più rari sono i calcoli di acido urico (7%), carbonato di apatite e cistina (< 1%). L’acqua di rubinetto viene accusata da anni di contenere “troppo calcare” e quindi viene considerata, spesso anche dagli operatori sanitari, un fattore di rischio per la calcolosi renale. Da qui deriva la fortuna delle acque oligominerali o minerali cosiddette “lievi” anzi “levissime” (da considerare dal punto di vista chimico, quasi acque distillate), che presentano forti proprietà diuretiche.
Perché i calcoli producono dolore?
Il calcolo urinario è sempre il risultato finale di un processo che inizia con la nucleazione dei cristalli e prosegue con la loro crescita o aggregazione, mentre avrà un destino diverso a seconda che raggiunga l’uretere, oppure rimanga nei calici o nel bacinetto renale e continui a crescere fino a dimensioni tali che ne impediscano la fuoriuscita. Stesso significato favorente hanno i corpi estranei nella via escretrice (fili di sutura non riassorbibili, cateteri).
Litiasi Renale
I calcoli renali, pelvici o caliciali di dimensioni superiori al centimetro in genere non riescono a migrare verso il basso incuneandosi nell’uretere. Se non rimossi e se persistono le condizioni litogene tendono ad ingrandirsi fino ad occupare “a stampo” una parte delle cavità intrarenali, o, a volte, l’intero sistema della pelvi renale o dei calici (calcolosi coralliforme).
Litiasi Ureterale
La calcolosi primitiva dell’uretere è rara, poiché la mucosa dell’uretere viene continuamente “lavata” dall’urina in transito. Può essere provocata da una condizione di ostruzione dell’uretere (ureterocele, ectopia ureterale, stenosi o neoplasie) con stasi urinaria. Molto più frequentemente il calcolo ureterale origina nel rene, migra verso la vescica e lungo l’uretere può arrestarsi soprattutto a livello dell’incrocio dei vasi iliaci o nel tratto intramurale. Se ciò avviene, si producono modificazioni patologiche della parete e dell’apparato urinario a monte, di grado variabile e proporzionale all’entità e alla durata dell’ostruzione ed all’eventuale presenza di infezione.. Il quadro clinico della calcolosi ureterale è quello della classica colica reno-ureterale. Non è raro osservare, a distanza di alcune ore o di alcuni giorni dalla insorgenza degli episodi colici, l’espulsione spontanea del calcolo o di suoi frammenti. Altrimenti in prima istanza si ricorre al “Bombardamento”.
Quando all’urostasi da litiasi ureterale si associ la urosepsi, si impone la decompressione chirurgica tramite derivazione urinaria, con un adeguato tempismo, parametro che più condiziona la sopravvivenza del paziente. Si può andare da un cateterismo vescicale ambulatoriale, al cateterismo endoscopico reno-ureterale, meglio noto come stentaggio, da eseguire sempre in sala operatoria sotto monitoraggio anestesiologico. Come si può facilmente dedurre, la gestione di questa grave e potenzialmente fatale condizione vede quindi spesso coinvolti, oltre al team Urologo-Infettivologo, anche i Colleghi, Radiologi e Nefrologi e spesso Rianimatori.
Litiasi Vescicale
Può essere distinta da un punto di vista nosografico in una forma da migrazione, dove il calcolo di origine renale, disceso in vescica e non espulso in tempo utile, funge da nucleo litogeno, sul quale si stratificano successivamente concrezioni litiasiche che lo accrescono e ne modificano la struttura e la composizione e in forme a genesi vescicale distinte in primitive, endemiche e secondarie. Nella genesi della litiasi a partenza vescicale di tipo secondario giocano un ruolo causale diversi fattori quali la ritenzione urinaria, l’infezione, i corpi estranei endovescicali, le parassitosi. In presenza di stasi e di infezione, la litogenesi vescicale è governata da leggi chimico-fisico-biologiche del tutto simili a quelle che regolano la litogenesi da infezione. Questa litiasi colpisce maggiormente il sesso maschile (95-98% dei casi) più esposto a patologie di tipo ostruttivo e nel 60-70% dei casi si manifesta tra i 40 e i 70 anni.
Bibliografia essenziale
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– R Siener, A Jahnen and A Hesse. Influence of a mineral water rich in calcium,magnesium and bicarbonate on urine composition and the risk of calcium oxalate crystallization. European Journal of Clinical Nutrition (2004) 58, 270–276.
– F. Donato, S. Monarca, S. Premi, U. Gelatti. Durezza dell’acqua potabile e malattie cronico- degenerative. parte III. Patologie tumorali, urolitiasi, malformazioni fetali, deterioramento delle funzioni cognitive nell’anziano, diabete mellito e eczema atopico. Annali di Igiene (2003), 15, 57-70.