Valentina Albertino
Medico, specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa
Dirigente Medico presso l’U.O. Riabilitazione Specialistica dell’ASST Spedali Civili di Brescia
La neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro, nota con l’acronimo inglese NBIA, descrive un gruppo eterogeneo di malattie degenerative di origine genetica, caratterizzate dall’accumulo di ferro nei gangli della base: si tratta di patologie rare, con una prevalenza stimata di 1-9 casi su 1000000. Sono stati identificati ad oggi 15 geni implicati nell’origine della patologia: essi codificano per proteine coinvolte nella funzione mitocondriale, nel metabolismo lipidico, nell’autofagia, nell’omeostasi del ferro e in altri pathways non completamente chiari [1,2].
Patogenesi e ruolo del ferro
Il ferro è un elemento indispensabile per la corretta funzione cellulare: cofattore essenziale per svariati enzimi e per le metalloproteine coinvolte nella catena respiratoria, assume un ruolo fondamentale nella fosforilazione ossidativa e nella produzione cellulare di energia; è altresì un elemento importante per la sintesi e la riparazione del DNA, per il metabolismo dei fosfolipidi e la sintesi di neurotrasmettitori [2]. L’origine e il ruolo dei depositi di ferro nella patogenesi della NBIA è poco chiaro, in particolare ci si interroga tuttora se l’accumulo di metallo rappresenti solo un epifenomeno o costituisca un fattore che accelera la morte neuronale; non tutti i geni responsabili di NBIA, infatti, codificano per proteine direttamente coinvolte nel metabolismo del ferro: ciò avviene solo in due varianti, l’aceruloplasminemia e la neuroferritinopatia. Il meccanismo attraverso cui si realizza l’accumulo di ferro nel globus pallidus nelle varianti più diffuse non è quindi completamente chiaro: la disomeostasi del ferro sarebbe infatti un fenomeno secondario. Per tali motivi, il termine NBIA utilizzato per descrivere questo gruppo di malattie è stato criticato, proponendo la definizione più generica di “sindromi pallido-piramidali” [1,2].
Inquadramento clinico
Clinicamente le sindromi NBIA si caratterizzano per disturbi eterogenei: comuni sono parkinsonismo, distonie e segni piramidali, associati in modo variabile a disabilità intellettiva, turbe neuropsichiatriche, atrofia ottica, degenerazione retinica. Sono descritti casi con esordio in età infantile e rapida progressione e altri diagnosticati in età adulta con segni extrapiramidali, lieve deficit cognitivo e una più lenta evoluzione [2,3,4]. Ad ogni mutazione genetica corrisponde un sottotipo di NBIA, definito per lo più da un acronimo che ricorda il meccanismo molecolare implicato e il gene interessato [1]. Quattro sono le forme più diffuse:
PKAN
Rappresenta il più comune sottotipo di NBIA ed è causata dalla mutazione nel gene PANK2 localizzato sul cromosoma 20. L’enzima implicato, la pantotenato-kinasi, è un’isoforma enzimatica mitocondriale che catalizza il primo passaggio della biosintesi del coenzima A, molecola chiave per il metabolismo di acidi grassi, carboidrati, aminoacidi e corpi chetonici, e per la sintesi di neurotrasmettitori. Strettamente correlata alla PKAN è la forma CoPAN, dovuta a mutazioni nel gene per la CoA sintasi (COASY). In entrambi i casi, le evidenze suggeriscono che il meccanismo fisiopatologico sia legato a disfunzioni del metabolismo energetico cellulare [1,2,3]. Nella forma di PKAN tipica, rapidamente progressiva, l’esordio si colloca entro i 6 anni di età con deficit deambulatorio e coesistenza di segni piramidali ed extrapiramidali, distonia, disturbi neuropsichiatrici e visivi (retinite pigmentosa); esiste poi una variante atipica, con esordio in età adulta e generalmente con coinvolgimento motorio meno grave, mentre maggiore è la compromissione cognitiva e psichica [1,2,3]. La CoPAN presenta analogie con la forma classica di PKAN, ad eccezione del deficit visivo, in questo caso di norma assente [1].
PLAN
È il secondo sottotipo più diffuso; sono state descritte numerose mutazioni del gene PLA2G6 sul cromosoma 22, che codifica per la proteina iPLA2 beta, fosfolipasi calcio-indipendente che idrolizza catene fosfolipidiche generando acidi grassi liberi e lisofosfolipidi. Tale enzima avrebbe quindi un ruolo nel rimodellamento della membrana cellulare, nella trasduzione di segnali, nella proliferazione cellulare e nell’apoptosi. Una perdita di funzione a tale livello determinerebbe un’alterata composizione lipidica della membrana plasmatica, vescicolare ed endosomica, con conseguenze strutturali sulla funzione cellulare. Anche in questo caso esiste una forma a esordio precoce, con la cosiddetta distrofia assonale infantile (INAD) caratterizzata da progressivo deficit dello sviluppo motorio e psichico, atassia, ipotonia assiale, segni piramidali e atrofia ottica; la variante a esordio tardivo si presenta in genere con parkinsonismo responsivo alla L-DOPA associato a segni piramidali, declino cognitivo, segni psichiatrici e disturbi della motricità oculare [1,2,3].
MPAN
È la terza variante più comune, dovuta a mutazioni del gene C19orf12 sul cromosoma 19q. La proteina implicata è localizzata prevalentemente nella membrana mitocondriale, nel reticolo endoplasmatico e nei siti di contatto ed è co-regolata da geni coinvolti nel metabolismo degli acidi grassi; il suo ruolo è cruciale nella regolazione del calcio, nel trasporto lipidico, nella funzione mitocondriale e nell’assemblaggio dell’autofagosoma. L’esordio, in età infantile, si caratterizza per una combinazione di segni piramidali ed extrapiramidali, oltre ad atrofia ottica; sono inoltre descritti fenotipi assimilabili alla paraplegia spastica ereditaria e alla sclerosi laterale amiotrofica giovanile [1,2,3].
BPAN
Quarto sottotipo in ordine di frequenza, la BPAN è dovuta a mutazioni del gene WDR45 localizzato sul cromosoma X, che spesso avvengono de novo. La proteina codificata, WIPI4, è coinvolta nelle interazioni proteina-proteina, nel processo di autofagia, nel controllo del ciclo cellulare e nella trasduzione di segnale. Clinicamente è caratterizzata da un graduale peggioramento a partire dall’età infantile, con disturbi neuropsichiatrici e comportamentali associati a un ritardo dello sviluppo; in età adulta si verifica poi una repentina progressione con parkinsonismo, distonie, mioclono, spasticità, disfunzioni autonomiche, crisi epilettiche [1,2,3].
Diagnosi
La diagnosi si basa sulla clinica e sul neuroimaging, con evidenza di accumulo di ferro a livello cerebrale mediante RMN: patognomonico è il cosiddetto segno “eye-of-the-tiger”, dato da un’area iperintensa circondata da un alone ipointenso nelle sequenze T2-pesate a livello del globus pallidus; lo studio genetico permette poi di determinare il gene causativo [1,2,3,4]. È oggi disponibile un pannello genetico che permette di analizzare simultaneamente tutti i geni responsabili di NBIA noti, anzichè testarli in sequenza. Un programma di counseling genetico famigliare dovrebbe essere garantito ai soggetti coinvolti [1].
La diagnosi differenziale deve tener conto della complessità del fenotipo clinico della NBIA, in parte condiviso con altre patologie metaboliche, le malattie da accumulo lisosomiale, le paraplegie spastiche ereditarie e alcune forme di parkinsonismo. Dal punto di vista radiologico, i depositi di ferro (peraltro età-dipendenti) si possono trovare anche in altre patologie: nella malattia di Parkinson, nei parkinsonismi atipici, nell’atassia di Friedreich, nella sclerosi multipla; al tempo stesso, l’assenza di depositi di ferro negli stadi precoci delle NBIA può talvolta condurre a diagnosi errate, pertanto la ripetizione dell’esame nel tempo si rende necessaria per facilitare un corretto inquadramento [1].
Terapia
Non esiste ad oggi una terapia risolutiva, o comunque disease-modifying: il trattamento è sintomatico. Oltre ai farmaci, altri provvedimenti concorrono ad attenuare la spasticità, la distonia e altri segni, pur senza modificare significativamente il decorso (DBS, tossina botulinica). Carenti sono i dati relativi all’efficacia nel breve e nel lungo termine di un programma riabilitativo, che può rappresentare uno strumento fondamentale nel contenere la progressiva disabilità dei pazienti affetti da NBIA. Il progetto riabilitativo individuale deve in ogni caso essere adeguato al paziente in esame e alla fase di malattia, trattandosi di una patologia eterogenea e con evoluzione non prevedibile; l’approccio riabilitativo, oltre all’aspetto strettamente neuromotorio e di terapia occupazionale (comprendente anche la valutazione di ausili e ortesi), può coinvolgere l’ambito neuropsicologico e logopedico per counseling e trattamento di disfagia e disartria [4,5,6]. Per ottimizzare la gestione della patologia appare quindi necessaria la collaborazione multidisciplinare: fondamentale è l’impostazione di un follow-up fisiatrico, per monitorare regolarmente l’evoluzione e adeguare le necessità riabilitative del paziente nel tempo [4]. L’efficacia di un precoce e costante intervento riabilitativo nel prevenire e contenere la disabilità potrà in ogni caso essere stimata solo ampliando la raccolta di dati, ad oggi carente in letteratura.
Bibliografia
- Schneider Neurodegeneration with brain iron accumulation, Curr Neurol Neurosci Rep, 2016, 16(1): 9
- Iankova, I. Karin, T. Klopstock, S. Schneider, Emerging disease-modifying therapies in neurodegeneration with brain iron accumulation (NBIA) disorders, Front. Neurol. 2021, 12, 629414
- Hogarth, Neurodegeneration with brain iron accumulation: diagnosis and management, J Mov Disord, 2015, 8(1); 1-13
- Hogarth, MA. Kurian, A. Gregory, B. Csányi, T. Zagustin, T. Kmiec, P. Wood, A. Klucken, N. Scalise, F. Sofia, T. Klopstock, G. Zorzi, N. Nardocci, SJ. Hayflick, Consensus clinical management guideline for pantothenate kinase-associated neurodegeneration (PKAN), Mol. Genet. Metab. 2017, 120; 278-287
- Kurian, SJ. Hayflick, Pantothenate Kinase-Associated Neurodegeneration (PKAN) and PLA2G6-Associated Neurodegeneration (PLAN): Review of Two Major Neurodegeneration with Brain Iron Accumulation (NBIA) Phenotypes, Int Rev Neurobiol, 2013, 110; 49–71
- Csányi, A. Papandreou, S. Cuka, AA. Rahim, WKK. Chong, MA. Kurian. Update in Neurodegeneration with Brain Iron Accumulation: Advances in Molecular Diagnosis and Treatment Strategies. Journal of Pediatric Neurology, 2015, 13(04): 155-167