Ascoltare le storie dei pazienti, prendersi tempo per accogliere le loro emozioni, i loro pensieri e poi trascriverli, in modo che ne resti traccia e che questa testimonianza diventi parte integrante del percorso di cura. Questa è la Medicina Narrativa in cui il professionista sanitario mette al centro della diagnosi e della terapia il vissuto del paziente e, al tempo stesso, integra questa storia con le sensazioni, i dubbi e le emozioni che ha provato lui stesso nel prendersi cura del prossimo.

Ludovica Brofferio, infermiera professionista presso l’Oncologia Ginecologica e Breast Unit dell’Ospedale Sant’Anna di Torino, ha scritto il libro Il tumore della mammella – storie narrate ed evidenze cliniche, edito da Springer Healthcare Italia, in cui, immedesimandosi in Minerva, la paziente protagonista, l’autrice fornisce un esempio di cosa sia la Medicina Narrativa, attraverso il racconto della protagonista che deve affrontare questo cancro. In questa intervista, Ludovica Brofferio ci spiega che cosa sia la Medicina Narrativa e quale può essere il suo potenziale nella cura delle persone.
Si dice spesso che il rapporto tra medico e paziente debba essere rinforzato, affidandosi a una nuova narrazione. La Medicina Narrativa può essere la via. Ma in cosa consiste esattamente?
La Medicina Narrativa è stata definita dalla sua teorica Rita Charon nel libro “Narrative Medicine. Honoring the stories of illness” come la medicina praticata con competenze narrative per riconoscere, assorbire, interpretare ed essere (com)mossi dalle storie di malattia. Quando le persone vogliono comprendere o descrivere una particolare situazione raccontano una storia. Quando si cerca di capire il motivo per cui alcuni eventi accadono, li si mette in ordine temporale, stabilendo quale sia stato l’inizio, lo svolgersi dei fatti, la fine, le cause, costruendo una trama intorno ai fatti che, altrimenti, sarebbero rimasti caotici e, di conseguenza, privi di senso.
La Medicina Narrativa nasce da ciò che, a dire il vero, i professionisti praticano quotidianamente: leggere, scrivere, raccontare, ascoltare storie di malattia. Ma la storia di malattia non può essere solo un’anamnesi, intesa come raccolta di eventi e dati, seguita poi da referti e diagnosi. Occorre un passo in avanti, una riconciliazione. La storia di malattia deve lasciare spazio ai pensieri del paziente, ai suoi sentimenti, alla sua visione della malattia e della vita stessa, al suo modo di comunicare la sofferenza. Si tratta di assorbire la sua storia, i cui tasselli sono i dubbi, le paure, le sensazioni, le interpretazioni, le reazioni ed emozioni verso una situazione dolorosa.
La rivoluzione della Medicina praticata con competenze narrative sta in questo: ricongiungere due storie di malattia che all’inizio della relazione di cura sono lontane (la malattia vissuta dal paziente e l’anamnesi fatta dal medico). Medicina Narrativa è affiliazione tra professionista sanitario e paziente poiché in questo modo gli obiettivi e i tempi con cui raggiungerli sono comuni, condivisi.
La Medicina Narrativa come potrebbe cambiare, in concreto, il percorso clinico del paziente e l’approccio clinico del medico?
La Medicina Narrativa non è solo teoria. Si tratta di interpretare la storia di malattia del paziente secondo la storia della sua vita. Non parlo di interpretazione in senso psicoanalitico. Tutt’altro. Una volta che abbiamo ascoltato il paziente ed il suo punto di vista dobbiamo sempre fermarci e chiedergli: “Dalle sue parole mi sembra di capire che…è corretto? Oppure “Quindi ciò che intende è che… giusto?” oppure “Mi permetta di riassumere ciò che abbiamo detto e mi dica se ci sono altre cose che dovremmo aggiungere”. L’interpretazione evolve sempre in azione. Il professionista sanitario deve sempre chiedersi: “Cosa posso fare per lui/lei in questo preciso momento della sua vita, considerando questi presupposti e questi obiettivi comuni? In questa determinata storia che è soltanto sua e non può essere generalizzata ad altri pazienti?”
La Medicina Narrativa è un esercizio di attenzione e di ascolto. I nostri colloqui con i pazienti peccano incredibilmente in questo senso: il telefono del reparto che squilla, il collega che chiede un parere sulla tal questione, il campanello, sono già le 14,00 e c’è la terapia ad orario da somministrare, è arrivato un nuovo ricovero e via discorrendo… Corriamo, abbiamo fretta e il paziente non sa come trattenerci e come comunicare con noi in quel poco tempo che gli dedichiamo. Allora la questione è questa: anche se il tempo è limitato, lo sforzo è di dedicarlo al paziente. In silenzio e senza altre distrazioni. Provare a vederlo e sentirlo con partecipazione, concentrazione e totale attenzione. Provare a ricordare (anche prendendo appunti) le parole esatte che il paziente ha utilizzato, le metafore, le immagini evocative di cui si è servito per spiegarci come si sente: “Con la chemioterapia spero che il tumore si sgonfierà e tornerò a respirare meglio”, “È come se avessi una sbarra che mi preme qua sotto e fa male quando mi alzo”, “A volte vedo dei lampi luminosi e questo mi dà ansia perché non so che cosa mi succede”.
L’esercizio alla narrazione è utile anche per il professionista stesso perché lo aiuta a riflettere sulla consapevolezza della propria finitezza; sul fatto che la vita è intrinsecamente legata alla malattia; sul fatto che le persone reagiscono davanti alla malattia in modi diversi e che non necessariamente corrispondono con il proprio personale modo di vedere. La medicina narrativa apre porte, esattamente come la malattia fa con la vita, al senso più autentico della nostra professione: l’incontro con l’altro.
Le competenze narrative possono fortificare e trasformare la nostra pratica clinica e renderla più efficace perché semplicemente il paziente si sentirà ascoltato, compreso e riconosciuto come persona e non come diagnosi.
Come scrive il sociologo Frank la narrazione “non è un atto terapeutico, ma è dare dignità a quella voce ed onorarla”. In questo modo il sanitario che si prende cura del paziente non si pone come osservatore esterno, ma come partecipante attivo. E, allo stesso modo, al paziente si restituisce un ruolo da protagonista. Il percorso terapeutico viene costruito insieme al paziente. Sul paziente, ma soprattutto, con il paziente. Senza una comprensione autentica dell’individualità del malato, la medicina potrà raggiungere obiettivi di tipo tecnico, ma le mancherà sempre qualcosa: personalizzazione, empatia, umanizzazione.
La medicina narrativa è già utilizzata in altri paesi? Se sì, in che modo?
La Medicina Narrativa è utilizzata in tutto il mondo in svariati ambiti. In particolar modo, la letteratura scientifica offre esempi di esperienze di Medicina Narrativa nei contesti in cui l’affiliazione professionista sanitario-paziente riveste un’importanza fondamentale:
- Scrittura autobiografica, sotto forma di diario, per i pazienti in cure palliative sugli aspetti della loro vita che vorrebbero ricordare come felici, in modo da ridurre l’ansia e l’angoscia e aumentare il senso di dignità;
- L’impiego dello storytelling (“Racconta quanto e in che modo il cancro influenza la tua vita”) nel miglioramento del dolore e del senso di generale benessere;
- Raccolta di esperienze scritte in forma di diario o epistolare dei pazienti e dei caregiver afferenti ad un’unità di terapia intensiva. La raccolta è stata messa a disposizione del personale sanitario ed utilizzato come riscontro per la pratica clinica e come spunto di riflessione per l’équipe;
- Interviste narrative rivolte alla riduzione dei fattori di rischio, come il fumo, nelle patologie respiratorie e cardiovascolari;
- Interviste narrative in ambito materno-infantile in contesti specifici come la gravidanza e il puerperio dopo trapianto di fegato;
- Interviste narrative autobiografiche rivolte a coppie afferenti ai servizi per la procreazione medicalmente assistita, per ridurre il senso di stress e incertezza verso il futuro;
- Il racconto della propria storia attraverso il teatro nei pazienti affetti da malattia mentale con una riduzione del senso di isolamento sociale;
- Gruppi di storytelling rivolti a bambini e adolescenti diabetici per migliorare la consapevolezza sull’efficacia della loro gestione autonoma della malattia, delle complicanze e della terapia.
In Italia ci sono esperienze virtuose da prendere come esempio?
In Italia si investono energie sulla formazione alla Medicina Narrativa soprattutto in ambito infermieristico che per sua natura gode di un rapporto privilegiato con il paziente in termini di vicinanza e di confidenza. Le Medical Humanities sono una risorsa di formazione per gli studenti italiani: ci si esercita all’empatia attraverso le storie vere, cioè autobiografiche, o di finzione cioè la letteratura, la filmografia, l’arte figurativa. Esse stimolano il futuro professionista alla presa di consapevolezza della dimensione antropologica e sociale della malattia e della cura.
Nel 2015 è stato prodotto un documento di Consenso sulla Medicina Narrativa nell’ambito delle malattie rare e cronico-degenerative in cui la narrazione è stata considerata un elemento costitutivo del percorso di cura: dalla diagnosi alla terapia, dalla riabilitazione ai trattamenti palliativi. È stato precisato che la Medicina Narrativa non si sostituisce all’Evidence Based Medicine, ma la integra e la arricchisce. La narrazione deve sempre essere contenuta e finalizzata ad un risvolto operativo nelle cure: aderenza al trattamento, buon funzionamento dell’équipe curante, consapevolezza del proprio ruolo professionale e dell’inevitabile ruolo che le emozioni giocano all’interno delle relazioni di cura. Infine, è stata incoraggiata la ricerca scientifica che integri Medicina Narrativa ed Evidence Based Medicine/Nursing con metodologie quali-quantitative.
Rita Charon ha coniato il termine Parallel Chart per identificare la pratica di scrivere una cartella clinica “parallela” a quella ufficiale, nel quale il medico/infermiere scrive l’altra storia del paziente, quella parallela appunto, in cui:
- Lo stile è narrativo e non tecnico;
- Emergono riflessioni su cosa quel paziente o quella determinata situazione ha insegnato al professionista. In altre parole, in che modo lo ha arricchito;
- Si possono far trapelare le proprie emozioni, paure, senso di pesantezza per l’inevitabilità della morte o di coraggio e speranza che la relazione con il paziente ha suscitato;
- Scopo principale è scavare più a fondo nell’esperienza di malattia dei pazienti e l’esperienza di cura del professionista sanitario, per rendere più efficace l’assistenza;
- Può essere utile condividere le storie con i colleghi per percepire gli eventi da altri punti di vista ed essere consapevoli che non esiste un unico e giusto modo di leggerli.
Nel 2018 è stato pubblicato un interessante studio italiano[1] sull’utilizzo delle Parallel Chart in pneumologia e le cui conclusioni hanno suggerito di inserire questi strumenti di medicina narrativa nei protocolli ufficiali di cura della broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Nel suo libro racconta il punto di vista della paziente attraverso la narrazione di questa donna, Minerva, affetta dal tumore al seno. Per lei, che si è immedesimata in questa paziente immaginaria, che tipo di esperienza è stata?
Minerva è una donna che racchiude in sé tutte le donne che ho incontrato fino ad ora in corsia. Ho scritto quindi di donne vere, reazioni vere alla malattia, dialoghi veri.
La scrittura mi ha concesso una seconda possibilità: se per la vita reale non ci sono copioni da seguire, tutto si svolge lì davanti a te e puoi solo improvvisare, cercando di fare bene da subito, perché quella non è una pièce teatrale, ma un ospedale, la scrittura concede la calma per ritornare sull’episodio, sviscerarlo, dispiegarlo. La scrittura permette di trarre riflessioni sul nostro modo di prendersi cura e sul modo del paziente di vivere la malattia. Ci si può chiedere “Cosa avrei potuto dire?”, “Cosa avrei potuto evitare di dire”, “Cosa avrei potuto dire in un altro modo?”, “Perché il paziente ha reagito così?”, “Perché io ho reagito così?” “Voleva dirmi altro che ha omesso?”, “Le mie parole hanno suscitato in lui disagio o fiducia?”, “Perché non vuole seguire questo trattamento? Cosa lo frena?”
Scrivere questo libro è stato intenso. L’esperienza di scrivere su Minerva ed in Minerva è stata intimamente legata all’esperienza di scrivere su di me, sul mio essere infermiera. È stata una pratica riflessiva prima ancora di essere narrativa, prima ancora di essere creativa, prima ancora di essere un lavoro con un fondamento scientifico alle spalle. Ha avuto a che vedere con l’atto di prendersi tempo e guardarci, intendendo, in senso ampio, tutti i professionisti della salute. Agire. È stata un’occasione per meditare sulle relazioni che costruiamo con i nostri pazienti che possono essere più o meno durature, più o meno impattanti, più o meno efficaci. Meditare su quanto le nostre parole, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti risuonano nei nostri pazienti e, viceversa, quanto quelli dei nostri pazienti risuonano in noi. Meditare su come e in che misura il percorso di cura migliora quando le nostre storie si incontrano.
C’è un passo di Madame Bovary che ho sempre amato: “Nessuno, mai, riesce a dare l’esatta misura di ciò che pensa, di ciò che soffre, della necessità che lo incalza, e la parola umana è spesso come un pentolino di latta su cui andiamo battendo melodie da far ballare gli orsi mentre vorremmo intenerire le stelle”. Ecco, in fin dei conti, ognuno di noi è una storia per cui val la pena mettersi in ascolto.
Bibliografia
[1] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5769576/
Questa intervista è stata rilasciata anche per il blog MEDORA fondato da Angelica Giambelluca https://studiomedora.it/medicina-narrativa/
Il libro di Ludovica Brofferio “Il Tumore della Mammella: Storie Narrate ed Evidenze Cliniche” è accreditato come ECM FAD da 15 crediti.