Incontriamo Maria Giulia Marini, direttrice dell’area sanità e salute della fondazione Istud di Milano e componente della faculty del Master in Medicina Narrativa applicata
Dott.ssa Marini, in breve cos’è la medicina narrativa, quali le sue radici e soprattutto quali i suoi obiettivi?
La medicina narrativa (MN) fa parte delle medical humanities, le scienze umanistiche applicate al campo della salute, della malattia e delle cure.
Le sue radici, antichissime, sono nelle arti e nella letteratura; in passato la voce della salute e della malattia era infatti mediata dall’arte. Ricordo La montagna incantata di T. Mann, la pazzia di Re Lear di Shakespeare, l’ipocondria narrata nel Malato immaginario di Moliere. Soltanto con la rivoluzione dei costumi degli anni sessanta il paziente ha avuto il diritto di usare la propria voce e annunciare la propria cronaca di malattia. Oggi i pazienti comunicano in prima persona. Possiamo dire che la vera medicina narrativa è nata quando ha smesso di essere un romanzo narrato.
Date cardine per la MN in Europa è il 1999, con la pubblicazione di un articolo di B. Hurwitz and T. Greenhaigh sul British Medical Journal.[1] L’articolo dava voce alle critiche alla medicina basata sulle evidenze (EBM) di D. Sackett, predominante dalla metà degli anni ottanta. La EBM, cercando di rendere la medicina il più oggettiva possibile, ha avuto un ruolo importante nel liberare la medicina dal paternalismo medico e dalla medicina basata sul consenso. Tuttavia con il tempo è emersa la consapevolezza che non è possibile applicare al singolo caso una medicina globale: occorre raccogliere la storia del paziente e non soltanto l’anamnesi, ascoltare il paziente nella sua complessità di persona, tener conto del suo contesto di vita. La medicina non è soltanto “testo” (segni e sintomi oggettivi), ma è anche “contesto” (es i valori, i luoghi, le relazioni), che traspare dalle storie dei pazienti. In questa prospettiva la medicina diventa qualcosa di più complesso che ad alcuni medici, soprattutto i più giovani, può far paura.
Gli obiettivi della medicina narrativa si possono articolare in tre livelli principali. Il primo consiste nella personalizzazione della cura per il singolo paziente; il secondo aspetto, intermedio, è la riorganizzazione di un tratto del percorso cura. Per esempio, analizzando le storie raccolte dai pazienti, può essere riorganizzato un reparto o un percorso di cura, affinché diventi non soltanto tecnologico ma anche umano e umanizzato. Infine il terzo livello coinvolge istituzioni quali le società scientifiche e riguarda la riorganizzazione di percorsi per l’intera organizzazione sanitaria.

Maria Giulia Marini, direttrice dell’area sanità e salute della fondazione Istud di Milano.
E’ corretto parlare di scienza della Medicina narrativa? Oppure scienza e discipline umanistiche, come la narrazione, sono distanti?
Pur non essendo una scienza strettamente intesa, la MN rientra nell’ambito delle scienze; del resto C. Popper ha messo in evidenza come il medesimo processo logico razionale sottenda sia l’analisi di un testo sia lo studio della teoria della relatività. La MN non è una scienza esatta ma, come ha argomentato Damasio in l’Errore di Cartesio [3], forse non esistono scienze esatte.
La MN non è sempre scienza e può essere usata per scopi diversi, in particolare per la spettacolarizzazione della malattia. Un esempio recente è la recente assegnazione dei premi Oscar cinematografici a ben 6 film (degli 11 premiati) definibili come disease related movies.
La scienza della MN, al contrario di queste forme spettacolari, cerca di difendere al massimo la privacy dei pazienti e dei medici. Il suo intento è capire la persona, attraverso le parole scritte e non scritte. Alcune persone nei loro racconti elencano test ed esami, senza lasciar trasparire niente del loro mondo emozionale; questa modalità di racconto suggerisce al medico che con tali pazienti sarà necessario, almeno all’inizio, parlare soltanto di dati oggettivi. Altre persone parlano dei propri sentimenti e paure ma in questi casi i medici, che sono preparati su farmaci e test, non sono invece preparati a parlare di emozioni. A questo proposito un momento esemplificativo è quello della comunicazione della diagnosi. Forse per l’influenza negativa di un approccio di medicina difensiva, anche i migliori medici “gettano” la diagnosi sul paziente (“Lei ha una malattia che mette a rischio la vita”). Nelle storie dei pazienti questo momento viene vissuto con grande sofferenza (“Mi sono sentita morire”). Eppure potrebbero essere adottate molte altre strategie, che tengano conto dell’essere umano che si ha di fronte. Non si tratta di una medicina del buonismo ma dell’umano.
La MN è una scienza quando cerca di trovare, nei racconti dei pazienti con una stessa malattia, elementi ricorrenti, non episodici per individuare la migliore strategia di cura. Un elemento che ricorra nel 80% delle storie non è più episodico e legato alla singola storia, ma ricorsivo e come tale va valutato. Abbiamo raccolto 123 storie di pazienti con sclerosi multipla. Nei racconti la malattia viene denominata nei modi più vari (es mostro, o scomoda compagna), ma emerge un elemento comune, l’importanza di vivere la quotidianità intensamente, nel qui e ora. Un paziente di 30 anni ha scritto “La mia quotidianità è vivere l’attimo in tutto e per tutto”. Questo elemento è importante per i curanti, che possono concentrare la loro attenzione su interventi che aiutino i pazienti a stare bene nel presente, ponendo in secondo piano le prospettive di lunghissima gittata.
La medicina narrativa diventa sempre più scienza, con l’impiego di software di mappatura semantica che consentono di raccogliere, analizzare ed elaborare le storie. Rimane comunque prioritaria l’analisi del valutatore; in Istud, l’analisi viene effettuata da tre diversi esperti.
Le storie sono dunque uno strumento della medicina narrativa; come sono raccolte e utilizzate?
Le storie possono essere più o meno strutturate. Utilizziamo narrazioni completamente libere, in assenza di un percorso temporale, per un primo ascolto senza condizionamenti. Possiamo chiedere al paziente “Parlami della tua malattia “ o “Parlami di te, nel tuo rapporto con la salute e la malattia”. Le storie spesso sono raccontate in modo diacronico: il passato, prima della malattia, viene descritto come una mitologica età dell’oro, a cui è seguita la caduta (i primi sintomi) e la conclamazione della malattia (la diagnosi). Il rapporto con le cure rappresenta il passato prossimo e il presente della storia.
Nelle storie cerchiamo di capire le tre dimensioni del pensare, del sentire, del fare, in riferimento al percorso di cura (che analizziamo nelle sue tappe), alla vita relazionale, all’attività lavorativa. Istud è anche una business school che si occupa di modelli sostenibili per la sanità. A noi interessa capire come riusciamo a influenzare le policy sanitarie attraverso le storie.
Potrebbe illustrarci una storia esemplificativa?
Si tratta di una delle 98 storie di caregiver che abbiamo raccolto. E’ la storia di un uomo, la cui compagna è affetta da mielofibrosi. E’ una storia esemplare, dalla quale emerge una vita interiore molto forte. Per questa ragione l’abbiamo classificata come storia di illness, per distinguerla dalle storie di disease (in cui prevale l’aspetto oggettivo della malattia) e storie di sickness (nelle quali predomina l’aspetto sociale della malattia). Eccone alcuni stralci.
“Ero addolorato quando la mia compagna ha iniziato a non stare bene. Ho notato che le succedeva di avere sempre più dolori, attacchi di panico, tachicardia. Allora per capire cosa stesse succedendo nuovi esami, visite specialistiche. Contavo solo solla forza interiore, sulla forza di lottare e non arrendersi. Confidavo sui miracoli che la positività del carattere a volte rende possibili, sull’aiuto della medicina ma anche su qualcosa che vada oltre.
Ma le sofferenze ci sono e i risultati degli esami non confortano. Alla fine gli esperti mi dissero che per questa malattia non c’è cura ma si spera che la ricerca possa aiutarci.
Quando comunicarono che la mia compagna era affetta da mielofibrosi provai dolore, paura, angoscia ma anche speranza e grande forza per resistere e non abbandonarsi e pensai che si dovesse fare tutto ciò che era possibile e rimanere uniti, decisi a trovare dentro di noi ciò che può aiutarci a non peggiorare la situazione e affrontare i problemi…
Fisicamente mi sentivo a volte stanco ma deciso a tenere sempre il morale alto e reattivo. Il mio stato emotivo è a volte spaventato ma deciso a non darlo a vedere. Prendersi cura di lei era un fatto normale …fiducioso nell’amore che ci unisce e ci rende più forti.
La mia compagna fu visitata sempre nello stesso centro…io mi sono sentito sempre preso in considerazione da parte dell’equipe medica…
A casa la situazione era faticosa non abbiamo molte persone che ci possono aiutare Mi sembrava che la malattia della mia compagna avesse su di me un effetto di stress silente e nello stesso tempo di i fortificazione.
Di notte quando la mia compagna si sveglia sofferente o spaventata io non so cosa fare preparo un tè e le resto vicino…
Penso che le cure siano state importanti e i soldi sono stati abbastanza importanti per avere le migliori cure possibili.
Se penso al domani comunque ho speranza e vorrei che succedesse di vivere ancora i nostri sogni senza troppe sofferenze.”
Esistono dati riguardanti gli effetti della medicina narrativa sulla storia clinica del paziente, per esempio sulla qualità di vita, sulla compliance o su altri parametri?
Dati pubblicati evidenziano come la MN possa migliorare l’adesione terapeutica del paziente , intesa non soltanto come assunzione corretta delle terapie ma in termini di adesione alle visite e relazione con il medico. D’altro canto, con la MN il medico ha maggior possibilità di mantenere nel tempo il rapporto con il paziente e si sente più sereno nel formulare la diagnosi e nel gestire la persona.
Alcuni dati molto interessanti indicano che la narrazione è di per sé terapeutica. Uno studio randomizzato su pazienti ipertesi, suddivisi in tre gruppi e trattati rispettivamente con antipertensivi, antidepressivi oppure con le storie (video-filmati di circa ½ ora nelle quali altri pazienti ipertesi raccontavano le proprie modifiche dello stile di vita), dopo sei mesi, sono stati osservati risultati simili tra i gruppi trattati con antipertensivi e con le “storie”. Presso il King’s College di Londra sono state raccolte short stories negli ambulatori sull’epilessia; attraverso la raccolta delle storie è stato possibile ottenere un miglioramento della compliance ai farmaci antiepilettici in pazienti difficili.
Questi risultati possono far ipotizzare sinergie tra farmaci e MN: alcuni farmaci potrebbero essere “contenuti”, se si desse maggior tempo ai pazienti. Il problema è che bastano poco secondi per inghiottire una pillola, mentre la narrazione richiede tempo.
Istud realizza un master sulla medicina narrativa rivolto a medici e ad altri professionisti, sanitari o sociali che, che, a diverso titolo, sono coinvolti nel processo di cura. Può parlarcene?
Questo Master ha tre forze trainanti:
- l’applicazione: i partecipanti (medici senior, infermieri, giovani psicologi, giornalisti, counsellor, persone che lavorano nei servizi sociali e nelle associazioni dei pazienti) applicano quanto imparato in aula alla loro esperienza sul campo, con l’aiuto di una tutorship adeguata che li segue al di là dell’aula. In questo modo sono state raccolte, in ugual misura, storie di pazienti e storie di medici; i tutor aiutano i partecipanti a scegliere la modalità di narrazione più adeguata al singolo caso, ad analizzare la storia, a giungere a uno sguardo sinottico delle diverse storie.
- l’internazionalizzazione e l’innovatività: in ognuno dei tre modulo vi sono docenti internazionali, per uno sguardo sul fenomeno della MN negli altri Paesi;
- la tradizione classica italiana: il recupero della capacità narrativa del patrimonio culturale del nostro Paese.
I feed back dei partecipanti sono stati tutti positivi; la MN viene considerata uno strumento per fare meglio il lavoro nel quotidiano: “Se l’avessi saputo prima avrei fatto il mio lavoro in modo diverso”.
Sulla medicina narrativa lei sta scrivendo un libro che uscirà l’anno prossimo con Springer: The Bridge. Narrative Medicine as a bridge between clinical care and humanitas. Vuole anticipare le tematiche che affronterà nella monografia?
Si tratta di un punto di approdo dopo molti anni di lavoro sulla qualità della vita dei pazienti, culminato in Istud, dove ho scoperto le potenzialità dello strumento narrativo e unito la mia formazione scientifica (sono un’epidemiologa) con la matrice sociologica di Istud.
Il titolo “The Bridge” riassume il concetto della MN come ponte tra la cura e l’humanitas, intesa come essere umano nel senso più complesso del termine. Questa funzione di ponte sarà evidente in tutto il libro, costringendo il lettore a un continuo passaggio tra il mondo della scienza e quello della letteratura, dalla citazione delle riviste scientifiche più autorevoli, a W. Szymborska e a W.Shakespeare. Si tratta di una sfida, non solo per chi scrive ma anche per chi legge.
La prima delle tre sezioni partirà dal contesto nel quale si è sviluppata la MN.
Saranno analizzati i diversi tipi di narrazione e i diversi stili con cui pazienti e medici scrivono. Per esempio i pazienti con sclerosi multipla scrivono in modo molto romantico e passionale; i pazienti più giovani scrivono in modo ironico mentre i più anziani si descrivono con molta spiritualità; i medici nei loro scritti, anche in quelli scientifici, rievocano sempre una dimensione epico-eroica (è comune l’uso di termini militari quali drup out, failure…).
Saranno discussi il rapporto tra singolarità e pluralità della medicina narrativa e la possibilità, come già detto, di utilizzarla anche per organizzare le cure su una dimensione più collettiva; il concetto di normalità; la difficoltà di accettare le differenze, in particolare la disabilità.
Si cercherà di capire perché non si investa in maniera sufficiente nella medicina narrativa, un fenomeno italiano, poiché all’esterno anche gli economisti sanitari stanno aprendo gli occhi sull’impiego di questo ulteriore strumento per allocare le risorse.
Nella seconda sezione saranno presentate storie esemplari di medici e di pazienti e nella terza sezione sarà inserito un glossario.
Infine, alcune domande per comprendere il ruolo della medicina narrativa nel contesto medico-sanitario attuale. Cosa pensa della social e digital health, e secondo lei quale contributo ha dato nel diffondere la conoscenza della Medicina narrativa?
I social media e più in generale la digital health hanno fatto da propulsori alla diffusione della MN. Abbiamo identificato tre fasi nell’approccio dei pazienti ai social media: nella prima fase, dopo la comunicazione della diagnosi, il paziente si rivolge a internet per avere informazioni; nella II fase comincia a frequentare i forum, a comunicare con altri malati più esperti; nella terza fase, il paziente diviene egli stesso mentore e tutor on line per i nuovi entrati. I potenziali rischi sono rappresentati dalla solitudine, dalla dipendenza dalla tecnologia e dall’allontanamento dalla vita reale: non bisogna dimenticare che nella malattia è il corpo a dover essere curato.
I social media hanno un ruolo straordinario per l’associazionismo e la rivendicazione di istanze dei pazienti; per esempio, in Italia è in corso una campagna per il riconoscimento (oggi possibile soltanto in Lombardia) dell’emicrania come disabilità. Un altro esempio riguarda il cosiddetto “metodo Zamboni” per il trattamento della sclerosi multipla. Prescindendo dalla validità scientifica, non dimostrata, del metodo e considerando soltanto l’aspetto comunicativo, si rileva che il tam tam avvenuto tramite sociali media è stato molto efficace e ha coinvolto associazioni di pazienti e comunità scientifiche in tutto il mondo.
In Italia, la Medicina narrativa ha un suo posto nell’iter di cura, oppure è considerata come un percorso indipendente e alternativo?
Nel 20014 è avvenuta una svolta importantissima poiché l’Istituto Superiore di Sanità ha emesso delle linee di indirizzo per la medicina narrativa.[3] Si tratta di indicazioni a tendere e non di prescrizioni, ma sono molto importanti perché affermano che la MN è oggi considerata uno strumento necessario per essere un bravo professionista sanitario. Si sta anche dibattendo sulla possibile collocazione della medicina narrativa in un percorso universitario, come parte di una disciplina verticale, riguardante la comunicazione medico-paziente, oppure come disciplina orizzontale, che attraversi le diverse specialità.
La Medicina narrativa può essere annoverata tra i diritti del paziente?
La MN è un mezzo per conseguire i diritti del paziente. Grazie alle loro storie i pazienti hanno avuto ascolto attenzione, dopo essere stati silenziati nei secoli, potendo parlare soltanto attraverso altre forme espressive. Oggi il paziente ha una propria voce.
La MN è anche un diritto del medico ad avere tempo per ascoltare il paziente e per raccontarsi.
Tuttavia la MN non è una panacea universale; non tutte le persone sono “narrative” o comunque non lo sono in tutti i momenti della loro vita. Forse proprio la rottura dell’equilibrio che si verifica con la malattia favorisce la narrazione. La leggerezza, data dalle storie, potrebbe essere di grande utilità per medici e pazienti.
Bibliografia selezionata
[1] Greenhalgh T, Hurwitz B. Narrative based medicine: why study narrative? BMJ.
1999; 318: 48-50
[2] Antonio R. Damasio. L’errore di Cartesio. Adelphi 1995, 14ª ediz., pp. 404
[3] Linee di indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative. In https://www.iss.it/ Ultima consultazione 12 marzo 2015