Roberta Mascia1, Cristina Parrino2
1 Medico Oncologo, IRCCS Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Divisione di Oncologia medica urogenitale e cervico – facciale.
2 Specialista Ambulatoriale, Endocrinologia e Diabetologia, Roma
Le conseguenze del blocco ormonale come terapia del tumore della prostata
Per alcuni tumori come quello che si origina dalla prostata, la terapia ormonale rappresenta tutt’oggi una delle colonne portanti del trattamento medico. L’intuizione che le cellule maligne potessero nutrirsi degli androgeni come il testosterone prodotti dal nostro stesso organismo risale a più di 70 anni fa [1]; da allora il blocco della via ormonale si è evoluto e grazie ad esso è possibile ottenere un buon controllo di malattia per un periodo di tempo variabile, con una discreta qualità della vita.
Nel tumore della prostata, la terapia ormonale è il caposaldo anche della terapia di prima linea in caso di interessamento sistemico da parte della malattia (cioè quando si sia documentato uno spostamento dalla sede primitiva del tumore a sedi distanti da esso).
Circa il 90% del testosterone endogeno è prodotto dai testicoli sotto dietro stimolo da parte dell’ormone luteinizzante (LH) prodotto a livello della porzione anteriore della ghiandola pituitaria, a sua volta stimolata dalla via ipotalamica attraverso la secrezione dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH). Il restante 10% viene prodotto a seguito della conversione nei tessuti periferici dei precursori prodotti dalla corteccia surrenalica.
La terapia androgeno-deprivativa (TAD) ha l’obiettivo di portare i livelli di testosterone totale sierico al sotto dei 50 ng/dL: ciò può essere ottenuto chirurgicamente (orchiectomia bilaterale) oppure farmacologicamente tramite:
- GnRH agonisti: leuprolide, goserelin, buserelin, triptorelina
- Antiandrogeni: flutamide, nilutamide, bicalutamide
- GnRH antagonisti: degarelix
In un primo momento il tumore della prostata è molto sensibile alla terapia ormonale, si trova cioè nella fase di “sensibilità alla castrazione”. Successivamente, dopo un intervallo di tempo più o meno lungo e che varia da paziente a paziente in base alle caratteristiche biologiche della malattia, l’inibizione indotta dai farmaci anti-ormonali viene meno e il tumore passa a quella che viene definita “fase di resistenza alla castrazione”.
Sebbene questa fase venga definita cosi in modo convenzionale, sarebbe impreciso affermare che il tumore non risponde più alla terapia ormonale; quest’ultima infatti viene comunque portata avanti, ma viene associata ad altri farmaci che sono in grado di bloccare anche le nuove strategie messe in atto dalle cellule maligne per proliferare. Tali cellule peraltro sappiamo non essere perfettamente tutte uguali e non avere il medesimo comportamento seppur appartenenti alla stessa malattia all’interno stesso ospite (eterogeneità intratumorale).
Il trattamento ormonale non è scevro da effetti collaterali; i più tipici sono rappresentati dalle disfunzioni sessuali, astenia, disfunzioni cognitive, vampate di calore, osteopenia e alterazioni metaboliche. Non di meno, la terapia androgeno-deprivativa (TAD) comporta un incrementato rischio cardiologico. Il tumore della prostata è peraltro tipico delle fasce d’età più avanzate che già di per sé presentano maggiori fattori di rischio metabolici e cardiologici.
Grazie all’anticipazione della diagnosi e al miglioramento delle strategie terapeutiche si sta osservando un prolungamento dell’aspettativa di vita dei pazienti che si traduce in un’estensione del periodo di esposizione all’ADT ed ai suoi effetti collaterali.
È importante che tali effetti collaterali vengano gestiti in maniera quanto più precisa e puntuale possibile al fine da evitare il sovrapporsi di ulteriori complicanze che possono a tutti gli effetti modificare gli outcomes dei pazienti sottoposti a questa terapia.
Nei pazienti con tumore prostatico avanzato sono stati condotti alcuni trial, qualcuno randomizzato, che hanno documentato il miglioramento degli outcomes anche in questa specifica popolazione, con particolare riferimento alla riduzione degli effetti collaterali dell’ADT [2-3].
Nell’ambito della gestione multidisciplinare di malattie complesse come quelle oncologiche, i pazienti affetti da carcinoma prostatico in trattamento con ADT spesso necessitano dell’intervento dello specialista Endocrinologo per la gestione combinata degli aspetti metabolici, a cui chiediamo quindi il suo punto di vista.
L’endocrinologo è lo specialista che si occupa delle patologie delle ghiandole endocrine. Le ghiandole endocrine (ipofisi, tiroide, paratiroidi, surreni, pancreas, ovaie, testicoli) producono gli ormoni, sostanze in grado di regolare i processi metabolici e di influenzare la funzione di moltissimi organi e tessuti.
Effetti collaterali metabolici del blocco ormonale androgenico
Gli ormoni hanno un ruolo di primaria importanza nella regolazione del metabolismo e in questi complessi meccanismi intervengono anche i livelli circolanti di androgeni.
Gli androgeni, infatti, partecipano al controllo del metabolismo glucidico e lipidico, influenzano la distribuzione del tessuto adiposo corporeo e contribuisco alla protezione del tessuto osseo (1,2). Ci soffermeremo in modo particolare sugli effetti collaterali di tipo metabolico del blocco ormonale androgenico, senza però dimenticare di sottolineare come la riduzione dei livelli di androgeni esponga i pazienti anche ad un aumentato rischio di fratture ossee (1).
Numerosi studi hanno messo in evidenza come la riduzione dei livelli circolanti di androgeni, conseguente anche a TAD, si associ all’insorgenza della sindrome cardio-metabolica (1,2), cioè una condizione nella quale si osserva la coesistenza, nello stesso individuo, di una serie di fattori di rischio cardio-metabolici che includono:
- l’obesità di tipo centrale/viscerale;
- l’insulino-resistenza;
- il diabete mellito;
- la dislipidemia;
- l’ipertensione arteriosa.
La presenza di queste alterazioni espone i pazienti al rischio di insorgenza o di progressione delle malattie cardiovascolari, compromettendone così lo stato di salute (1,2).
Gli effetti metabolici della TAD riproducono, dal punto di vista clinico, il quadro della sindrome metabolica, condizione indicata in passato anche come sindrome X o sindrome dell’insulino-resistenza (3). Diverse organizzazioni hanno stabilito degli specifici criteri per la diagnosi di sindrome metabolica (Tabella 1) e i criteri diagnostici maggiormente utilizzati sono quelli formulati da (2,3):
- Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1999;
- National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III (NCEP-ATP III) nel 2001;
- International Diabetes Federation (IDF) nel 2006.
Tabella 1. Criteri diagnostici per la sindrome metabolica (2,4)
Nonostante siano presi in esame differenti parametri clinici e biochimici, con cut-offs non sempre coincidenti, la presenza di obesità di tipo centrale – con localizzazione del tessuto adiposo a livello addominale – accomuna le tre definizioni. L’obesità di tipo centrale, infatti, si associa ad uno stato di insulino-resistenza, cioè una condizione nella quale l’insulina non è più in grado di esercitare il proprio effetto biologico poichè incontra una “resistenza” alla sua azione a livello dei tessuti bersaglio come muscolo, fegato e tessuto adiposo.
- Come può intervenire l’oncologo?
Lo specialista oncologo ha la possibilità di agire attivamente per ridurre l’impatto negativo di queste alterazioni metaboliche sullo stato di salute dei propri assistiti. È molto importante che i pazienti siano informati sulle possibili modifiche metaboliche conseguenti all’avvio della terapia anti-androgenica e siano educati a riconoscere gli eventuali segni e sintomi che possono fare sospettare la presenza di complicanze metaboliche.
L’educazione e la prevenzione sono il cardine della gestione clinica delle persone con patologie metaboliche croniche ed è indispensabile agire subito fornendo gli strumenti per adottare un corretto stile di vita. Inoltre, nel caso in cui lo specialista oncologo dovesse riscontrare l’insorgenza di sovrappeso o obesità, attraverso la misurazione di peso corporeo e altezza, della circonferenza vita, e con il calcolo del BMI, alterazione del profilo glicidico, con il dosaggio della glicemia a digiuno e dell’emoglobina glicata, e/o la presenza di dislipidemia, ricorrendo al dosaggio di colesterolo totale, trigliceridi, colesterolo HDL, può prontamente informare il paziente e indirizzarlo allo specialista endocrinologo.
- Quando deve intervenire l’endocrinologo?
Potrebbe essere utile indirizzare un paziente all’attenzione di uno specialista endocrinologo nel caso in cui si osservino, prima o dopo l’avvio della TAD, la comparsa delle seguenti alterazioni metaboliche(1):
- sovrappeso (BMI³ 25 Kg/m2) o obesità (BMI³30 Kg/m2);
- alterata glicemia o diabete mellito;
- elevati valori di colesterolo totale e/o trigliceridi, bassi livelli di colesterolo HDL.
Dopo avere effettuato una valutazione clinica lo specialista endocrinologo si occuperà di (1):
- istruire i pazienti su un adeguato stile di vita (sospensione del fumo di sigaretta, riduzione del consumo di alcolici, consigli su alimentazione bilanciata, attività fisica adeguata alle possibilità della persona) con l’obiettivo di contenere e/o ridurre il peso corporeo oppure di modificare favorevolmente la composizione corporea;
- avviare una eventuale terapia medica (terapia dietetica strutturata, terapia anti-diabetica orale o iniettiva, terapia anti-dislipidemica) con l’obiettivo di prevenire o ridurre al minimo gli effetti negativi sul sistema cardiovascolare.
Lo specialista endocrinologo potrà, inoltre, essere consultato per preservare la densità minerale ossea durante il blocco androgenico o in caso di quadri osteopenia/osteoporosi note.
La collaborazione multidisciplinare tra i professionisti sanitari può migliorare la qualità di vita dei nostri pazienti e dovrebbe sempre essere incoraggiata.
Bibliografia
- Huggins C Sr, Hodges CV: The effects of castration on advanced carcinoma of the prostate gland. Arch Surg 43:209-223, 1941
- Kenfield SA, Stampfer MJ, Giovannucci E, Chan JM. Physical activity and survival after prostate cancer diagnosis in the health professionals follow-up study. J Clin Oncol. 2011;29(6):726–732
- Moyad MA, Roach M 3rd. Promoting wellness for patients on androgen deprivation therapy: why using numerous drugs for drug side effects should not be first-line treatment. Urol Clin North Am. 2011;38(3):303–312
Bibliografia parte Endocrinologia (Mendeley)
- Aversa A, Corona G. Effetti collaterali della deprivazione androgenica: strategie terapeutiche. L’Endocrinologo. 2017;
- Kirlangic OF, Yilmaz-Oral D, Kaya-Sezginer E, Toktanis G, Tezgelen AS, Sen E, et al. The Effects of Androgens on Cardiometabolic Syndrome: Current Therapeutic Concepts. Sexual Medicine. 2020.
- Saklayen MG. The Global Epidemic of the Metabolic Syndrome. Current Hypertension Reports. 2018.
- Alberti KGMM, Zimmet P, Shaw J. Metabolic syndrome – A new world-wide definition. A consensus statement from the International Diabetes Federation. Diabetic Medicine. 2006.