L’analisi finale dello studio POUT (Peri-Operative chemotherapy versus sUrveillance in upper Tract urothelial cancer) suggerisce un nuovo standard di cura.
I carcinomi uroteliali dell’alta via escretrice (UTUC) rappresentano una rara forma di neoplasia spesso gravata da una cattiva prognosi e comprendono, in senso ascendente, l’uretere, la pelvi ed i calici renali. Nonostante la comune origine, e gradazione in forme di basso ed alto grado e la presenza dello stesso epitelio (Urotelio), si distinguono da carcinomi vescicali per la diversa situazione anatomica, che ne rende la diagnosi, la stadiazione e la terapia notevolmente diverse. Nel complesso si manifestano in circa due persone ogni 100.000 abitanti nei paesi ad alto reddito e costituiscono il 5-10% di tutti le neoplasie uroteliali.
Siccome l’adeno-carcinoma uroteliale è caratterizzato da frequente recidività e facilità di inseminazione tramite esfolazione delle cellule uroteliali attraverso le urine, maggiore è l’altezza di interessamento della via urinaria più probabile è la coesistenza di lesioni satelliti a valle (seeding), vescica compresa. La sua particolare invasività, inoltre, è strettamente legata alla particolare morfologia dell’urotelio dell’alta via escretrice, che risulta essere molto più fine rispetto a quello vescicale, caratterizzandosi per una tonaca muscolare molto meno rappresentata, che determina una maggior frequenza di forme muscolo-invasive, che necessitano di trattamento radicale.

Da ciò consegue che finora il trattamento gold-standard è stato nella maggior parte dei casi quello chirurgico radicale, ovverosia la nefroureterectomia con follow up clinico/strumentale del rene superstite e della vescica, caratterizzato da tassi di sopravvivenza a 5 anni tuttavia bassi (35-50% per i pazienti con malattia localmente avanzata o coinvolgimento linfonodale all’atto chirurgico).
La loro prognosi è, quindi, legata inesorabilmente alle assai frequenti caratteristiche di invasività che li caratterizzano già alla diagnosi. A ciò si aggiunga una difficoltà notevole di studio endoscopico dell’ alta via (Ureteropieloscopia) che necessita di anestesia , a differenza della semplice cistoscopia ambulatoriale che permette lo studio accurato della Vescica. Ciò determina anche una difficoltà nel follow-up che si può avvalere solo di esami di imaging, con scarsa specificità, in pazienti che vengono sottoposti a procedure conservative laser (Kidney-sparing) per forme superficiali di basso grado, che spesso purtroppo progrediscono.
La ricerca scientifica su questa tipologia di tumore ha da sempre incontrato non poche difficoltà nella produzione di evidenze scientifiche, soprattutto in considerazione della sua rarità oltreché della difficoltà nel selezionare pazienti per terapie alternative. Infatti, per molti anni le opzioni di cura sono state assimilate a quelle della patologia vescicale, sebbene poi ci si fosse resi conto della diversità di outcomes tra le due per una diversità biologica ormai riconosciuta.
Se per le forme non muscolo-invasive della Vescica si può ricorrere ad una terapia adiuvante endovescicale (Mitomicina per le forme di basso grado o BCG per le forme di alto grado, in grado di abbattere notevolmente la recidività), data la possibilità di mantenere il chemioterapico a contatto dell’ Urotelio per almeno una ora, ciò non è possibile nell’alta via escretrice per difficoltà di cateterizzazione e soprattutto per la mancata stasi urinaria. Per quanto riguarda inoltre, la chemioterapia parenterale perioperatoria è ormai assodata la efficacia ed utilità con livelli 1 di evidenza, per i carcinomi vescicali uroteliali muscolo infiltranti e/o localmente avanzati (adiuvante) mostra un’ altra diversità, in quanto se mentre per gli UTUC è ancora oggi oggetto di dibattito (1).
A fare un po’ di chiarezza è giunto lo studio POUT (Peri-Operative chemotherapy versus sUrveillance in upper Tract urothelial cancer), i cui risultati preliminari erano già stati portati all’attenzione dell’ASCO 2018, ha finalmente concluso le analisi finali dei dati e recentemente ne ha pubblicato l’esito su The Lancet.
Overview sullo studio
lo studio POUT è un trial clinico di fase III randomizzato multicentrico, che tra giugno del 2012 e novembre 2017 ha arruolato 261 pazienti affetti da carcinoma uroteliale dell’alta via escretrice sottoposti a nefroureterectomia con stadio patologico definitivo pT2–T4 pN0–N3 M0 o qualsiasi pT, N1–3 M0. I pazienti sono stati quindi randomizzati con proporzione 1:1 nei seguenti bracci di trattamento:
- 4 cicli di chemioterapia secondo schema cisplatino 70 mg/mq oppure carboplatino AUC 4.5-5 al giorno 1 e Gemcitabina 1000 mg/mq giorno 1 e 8, ogni 3 settimane, da avviare entro 90 giorni dalla chirurgia
- Sola osservazione clinica e radiologica periodica
Obiettivi dello studio
L’obiettivo primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia (DFS) analizzata sulla popolazione intention to treat (ITT).
Gli obiettivi secondari dello studio comprendevano la sopravvivenza libera da metastasi, la sopravvivenza globale, i tassi di aderenza al trattamento chemioterapico, i tassi di tossicità acuta e tardiva ed infine la qualità di vita dei pazienti.
Caratteristiche della popolazione arruolata
L’età media dei 261 pazienti arruolati 68.5 anni (il 40% over 70). Il 94% aveva una malattia pT2-T3 e di questi il 91% non presentava coinvolgimento linfonodale (pT0). Circa 84% dei pazienti presentava una clearance superiore o uguale a 50 ml/min. Dei pazienti caduti nel braccio chemioterapia (n. 132), il 75% ha ricevuto 4 cicli totali e il 66% ha ricevuto cisplatino e gemcitabina come schema di trattamento. Di quest’ultimo gruppo, per 10 pazienti si è resa necessaria la modifica della schedula in carboplatino e gemcitabina a causa di tossicità; la maggior parte dei cicli di chemioterapia sono stati somministrati senza riduzione di dose.
Risultati
La chemioterapia si è dimostrata capace di ridurre il rischio di recidiva di malattia e morte del 55% (HZ 0.45). la sopravvivenza libera di progressione a 3 anni è del 76% per i pazienti sottoposti a chemioterapia adiuvante rispetto al 46% nei pazienti sottoposti a sola osservazione, con una differenza complessiva del 25%.
La sopravvivenza libera da malattia media dei pazienti sottoposti a sola sorveglianza è di 29.8 mesi (circa 2 anni e 6 mesi), mentre quella dei pazienti sottoposti a chemioterapia non è stata ancora raggiunta.
Anche il tasso di eventi a 3 anni si è dimostrato a favore della chemioterapia: 71% per i pazienti sottoposti a chemioterapia e 53% dei pazienti sottoposti a sola osservazione, con una differenza assoluta del 17% tra le due popolazioni. I dati sulla sopravvivenza globale non sono ancora disponibili.
Tossicità
Le tossicità riscontrate nella popolazione sottoposta a chemioterapia si sono allineate a quelle già documentate in altri studi clinici con il medesimo schema chemioterapico. In particolare, le tossicità di grado uguale o superiore a 3 sono state globalmente del 44% (31 [44%] dei 71 pazienti a cui è stato somministrato cisplatino e gemcitabina e 24 dei 55 pazienti [44%] a cui è stato somministrato carboplatino e gemcitabina). Gli eventi avversi acuti più frequenti sono stati la neutropenia, neutropenia febbrile (6%), piastrinopenia, nausea e vomito. I dati sulla tossicità tardiva non sono ancora maturi.
Con questo trial randomizzato, peraltro il più grande in questo setting di malattia, è riuscito a dimostrare il vantaggio della chemioterapia adiuvante con platino e gemcitabina somministrata entro i 90 giorni successivi all’intervento chirurgico. Un vantaggio statisticamente significativo e all’apparenza anche clinicamente significativo, il tutto con un costo, in termini di tossicità, accettabile e non differente da quello che siamo abituati a gestire nella pratica clinica attuale. I risultati dei questionari della qualità di vita hanno confermato questo dato anche dal punto di vista dei pazienti, sebbene come atteso chi si è sottoposto alla chemioterapia abbia manifestato una riduzione della stessa compatibile con le tossicità dei trattamenti. Interessante tuttavia il recupero precoce di livelli di qualità di vita tra i due gruppi che tornano ad essere sovrapponibili nel giro di sei mesi.
Ciò che c’è di diverso è l’inserimento all’interno della classe dei platino fit, secondo la classificazione di Galsky, anche quei pazienti con una clearance della creatinina < 60 ml/min (ma > di 50 ml/min), che gli autori inglesi ritengono sia un compromesso praticabile al fine di non escludere pazienti che avrebbero potuto trarre beneficio dalla terapia. Ricordiamo infatti che la funzionalità renale di tutti questi pazienti è per definizione ridotta perché monorene chirurgici. Come già anticipato prima, si è documentata una bassa percentuale di pazienti che dal cisplatino sono passati al carboplatino, 6 in totale. Di questi pazienti non viene però specificato il dato della clearance della creatinina di partenza. Inoltre, i dati sulla tossicità tardiva non sono ancora disponibili quindi bisognerà attendere per valutare questo aspetto nel tempo.
La clearance della creatinina gioca un ruolo cruciale nelle scelte terapeutiche dei pazienti con neoplasia uroteliale. Tuttavia, non è la prima volta che il cut off di 60 ml/min viene messo in discussione: facendo riferimento ancora una volta al setting neoadiuvante del tumore uroteliale vescicale muscolo infiltrante da cui spesso vengono estrapolate le informazioni applicandole ai tumori dell’alta via, esistono alcuni dati derivanti da studi retrospettivi in cui in pazienti selezionati si può somministrare il cisplatino anche con clearance ridotta al di sotto dei canonici 60 ml/min (3-4).
Tale problematica non è di poco conto, in quanto nella pratica clinica il riscontro di valori borderline di clearance della creatinina è assai comune ed influenza sensibilmente la scelta terapeutica, peraltro in assenza di studi randomizzati che definiscano in maniera univoca l’inferiorità del carboplatino in questo setting. Restano comunque esclusi da un potenziale beneficio quei pazienti che a seguito dell’intervento hanno un lento e/o un parziale recupero per cui non è possibile candidarli alla chemioterapia adiuvante; il quesito che resta aperto per questi pazienti è l’eventuale ruolo di una chemioterapia somministrata prima dell’intervento chirurgico (neoadiuvante).
Un altro punto critico dello studio, come anche più in generale della strategia terapeutica per questi tumori in questa fase di malattia, è rappresentato dall’assenza di dati circa l’influenza della linfadenectomia associata alla nefroureterectomia sull’outcome dei pazienti.
Attualmente anche le linee guida italiane prevedono un approccio individualizzato da caso a caso, non essendo possibile renderla una procedura standardizzata per il suo significato ancora controverso in termini di beneficio sulla sopravvivenza.
Concludendo, lo studio apporta interessanti novità in un ambito in cui gli studi randomizzati hanno latitato per anni. Tuttavia, più che cambiare la pratica clinica, che già prima della pubblicazione dello studio prevedeva la valutazione della chemioterapia perioperatoria, ci permette di ragionarci sopra e quindi di proporla ai nostri pazienti con maggiori evidenze scientifiche a disposizione.
Bibliografia
- Efficacy of neoadjuvant and adjuvant chemotherapy for localized and locally advanced upper tract urothelial carcinoma: a systematic review and meta‑analysis Fahad Quhal et al. International Journal of Clinical Oncology https://doi.org/10.1007/s10147-020-01650-9
- Adjuvant chemotherapy in upper tract urothelial carcinoma (the POUT trial): a phase 3, open-label, randomised controlled trial Alison Birtle, Mark Johnson et al. The Lancet
- Feasibility of Cisplatin-Based Neoadjuvant Chemotherapy in Muscle-Invasive Bladder Cancer Patients With Diminished Renal Function. Vadim S. Koshkin et al. Clinical Genitourinary Cancer, Vol. 16, No. 4, e879-92 ª 2018
- A study of split-dose cisplatin-based neo-adjuvant chemotherapy in muscle-invasive bladder cancer S.A. HUSSAIN et al. ONCOLOGY LETTERS 3: 855-859, 2012