Capuano A1, Finale E2, Perego B1, Arnulfo A3
1Dirigente Medico, SOC Ostetricia e Ginecologia, ASL VCO, Verbania
2Ostetrico Senior, SOC Ostetricia e Ginecologia, ASL VCO, Verbania
3Direttore SOC Ostetricia e Ginecologia, ASL VCO, Verbania
L’induzione medica al travaglio di parto

L’induzione al travaglio di parto (ITP) è un intervento medico messo in atto al fine di ottenere un travaglio attivo e di interrompere così volontariamente la prosecuzione della gravidanza. In genere, tale procedura dovrebbe essere presa in considerazione solo quando si ritiene che questo intervento comporti benefici materni e fetali evidentemente maggiori e rischi significativamente minori rispetto all’attesa dell’insorgenza spontanea del travaglio di parto. Ciò nonostante, spesso, in assenza delle condizioni cliniche indicanti l’impiego di questo intervento, dagli anni ’90 si è registrato un crescente aumento delle induzioni. Al contrario, dal 2012 la tendenza a ricorrere all’ITP si è ridimensionata, anche grazie alle raccomandazioni dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) tese a evitare le induzioni senza una specifica indicazione medica nel periodo fra 37 e 39 settimane. Attualmente, in Italia si calcola che il ricorso a tale intervento, in alcune realtà, superi il 25% del totale dei parti.[1] Sebbene si esegua un alto numero di induzioni, però, gli operatori sanitari ritengono che l’ITP rimanga una procedura medica comunque rischiosa per madre e feto. Tale sentire comune origina sia dall’esperienza personale di ciascun operatore sia dai risultati di numerosi studi osservazionali di coorte, ormai datati, che, comparando l’ITP con il travaglio insorto spontaneamente in donne alla stessa età gestazionale, evidenziavano un più alto numeri di tagli cesarei e di complicazioni neonatali per il gruppo delle donne indotte. In metanalisi più recenti, invece, nell’ambito delle quali gli autori hanno confrontato l’ITP con la condotta di attesa, si è registrato un numero inferiore di outcomes materno-fetali sfavorevoli e di tagli cesarei.[2] In letteratura, si legge che l’ITP eseguita prima di 39 settimane[3], così come quella non eseguita oltre la 41esima settimana di gestazione[4], sono correlate a peggiori outcomes perinatali. Nel periodo gestazionale frapposto tra 39 settimane e 0 giorni e 40 settimane e 6 giorni, il ricorso all’ITP resta invece controverso, soprattutto per le nullipare, per le quali, in caso di induzione senza indicazioni mediche, i benefici materno-fetali del ricorso all’ITP restano incerti, fermo restando il timore di incrementare il numero di tagli cesarei a causa del fallimento di tale procedura.[5]
Lo studio ARRIVE (A Randomized Trial of Induction Versus Expectant Management)
Nel 2016, un trial randomizzato inglese ha comparato gli effetti dell’induzione elettiva senza indicazione medica con la condotta di attesa fino al travaglio spontaneo in 619 donne di 35 anni, con i seguenti risultati: un tasso di cesarei simile per i due gruppi, un aumento dei parti operativi per le donne indotte e una medesima morbidità perinatale. Gli autori, confortati dai dati raccolti, hanno concluso invitando a ripetere studi simili[6]. In precedenza, altre metanalisi avevano già dimostrato l’invarianza del numero di tagli cesarei in seguito ad induzione. In risposta allo studio inglese, nel 2018, in America, l’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development Maternal-Fetal Medicine Units Network ha pubblicato su The New England Journal of Medicine i risultati dello studio A Randomized Trial of Induction Versus Expectant Management (ARRIVE). In termini statistici, ARRIVE è probabilmente lo studio più rappresentativo, condotto con lo scopo di mettere a confronto gli esiti perinatali e materni delle induzioni elettive senza indicazione medica e quelli dell’attesa del travaglio spontaneo nelle donne nullipare a basso rischio a 39 settimane di gestazione. Il lavoro, portato avanti da 41 centri tra il mese di marzo 2014 e il mese di agosto 2017, era un trial multicentrico, randomizzato, controllato, in cui le donne dalla 38esima settimana +0 fino alla 38esima settimana +6 di gestazione sono state randomizzate o per l’induzione al parto dalla 39esima settimana +0 fino alla 39esima settimana +4 di gestazione o per la condotta di attesa del travaglio spontaneo. Inizialmente, lo studio è stato proposto a 50581 donne, tra cui soltanto 22533 sono risultate arruolabili, di queste solo 6106, il 27% del totale, hanno deciso di parteciparvi. Le donne sono state così suddivise: 3062 assegnate all’induzione e 3044 alla condotta di attesa. Il 63% delle donne non aveva una cervice favorevole all’induzione, intesa come Bishop score <5. In generale, prima di dichiarare il fallimento dell’induzione i clinici hanno atteso 12 ore dopo la completa maturità cervicale, la rottura delle membrane o l’uso di farmaci per stimolare le contrazioni. Gli autori non indicano i metodi farmacologici e non usati per la maturità cervicale e gli schemi di somministrazione dei farmaci quali ossitocina, probabilmente questo, insieme al fatto che lo studio non è stato eseguito in doppio cieco, rappresentano gli unici limiti ascrivibili alla metodologia dello studio.
Obiettivo dello studio ARRIVE
Scopo dello studio è stato valutare in primo luogo gli esiti perinatali, dalla morte perinatale alla severa morbosità neonatale, nonché indagare in secondo luogo, quali outcomes secondari, gli esiti materni, tra cui principalmente il ricorso al taglio cesareo.
In particolare, sono stati oggetto di indagine i seguenti esiti primari perinatali:
- morte perinatale;
- necessità di supporto respiratorio nelle 72 ore dopo la nascita;
- punteggio di APGAR a 3 e 5 minuti;
- encefalopatia ipossico ischemica;
- convulsioni;
- sepsi o la polmonite;
- sindrome da aspirazione di meconio;
- emorragia intracranica o subgaleale;
- ipotensione che necessita supporto.
e i seguenti esiti secondari materni:
- taglio cesareo;
- parto vaginale operativo;
- lacerazioni di terzo o quarto grado;
- ipertensione gestazionale/preeclampsia;
- corioamniotiti;
- emorragia postpartum;
- ricovero in rianimazione.
Risultati dell’ARRIVE
Per ciò che concerne gli outcomes primari, i risultati dell’ARRIVE hanno evidenziato un numero inferiore di quasi tutti gli esiti patologici perinatali nel gruppo dell’induzione rispetto al gruppo della condotta di attesa: il 4.3% contro il 5.4% (RR 0.80; 95%[CI], 0.64-1.00; P=0.049), con una riduzione, seppur statisticamente non significativa, della mortalità perinatale di circa 1/3 (RR 0.66; 95%[CI], 0.12-3.33; P=0.049) e della necessità di ricorrere ad un supporto respiratorio alla nascita (RR 0.71; 95%[CI], 0.55-0.93; P=0.049). Come outcomes secondari, invece, si è registrata una significativa riduzione del numero di tagli cesarei (18.6% contro il 22.2%; RR 0.84; 95% [CI], 0.76-0.93; P<0.001) e delle problematiche ipertensive, intese come preeclampsia o ipertensione gestazionale (9.1% contro il 14.1%; RR 0.64%; 95% [CI], 0.56-0.74; P<0.001) nelle donne sottoposte a induzione e medesimo rischio per i due gruppi di incorrere in una emorragia post partum (4.6% contro il 4. 5%; RR 1.03; 95%[CI], 0.82-1.29 P=0.81). Le donne indotte hanno trascorso più tempo in travaglio e in sala parto (20 ore contro 14), ma meno tempo ricoverate come puerpere rispetto al gruppo dell’attesa. Gli altri esiti materni sono risultati pressoché uguali per i due gruppi.3
Valutazioni finali dello studio ARRIVE
Una delle convinzioni più radicate della pratica ostetrica associa la medicalizzazione del parto attraverso l’ITP al possibile incremento di eventi avversi neonatali e materni, come ad esempio il taglio cesareo e l’emorragia post partum. Studi osservazionali ed esperienze cliniche sembrerebbero confermare queste preoccupazioni, soprattutto per le nullipare con cervice sfavorevole. È necessario sottolineare, però, che molti di questi studi, non troppo correttamente, hanno confrontato gli esiti dell’induzione elettiva del travaglio con quelli del travaglio spontaneo, piuttosto che con quelli dell’attesa del travaglio spontaneo, trattando il travaglio di parto come una possibilità di scelta.[7] Siccome l’ITP non deve essere considerata un intervento d’emergenza come il cesareo, nella corretta valutazione fra rischi e benefici è opportuno confrontare gli esiti dell’induzione soltanto con il management d’attesa: atteggiamento che, invece, può essere liberamente scelto. Risulta metodologicamente erroneo, quindi, comparare gli effetti dell’ITP e le complicanze nei casi di insorgenza spontanea del travaglio di parto, oppure gli outcomes fra ITP e parto, spontaneo o cesareo che sia.
In considerazione del numeroso campione di donne arruolate, della vasta rete di centri coinvolti, della metodologia con cui è stato condotto, nonché dei seguenti risultati ottenuti:
- riduzione della mortalità fetale endouterina, senza peggioramento degli altri outcomes perinatali;
- riduzione delle problematiche conseguenti alla macrosomia, visto il parto anticipato;
- riduzione del numero di tagli cesarei e di complicanze ipertensive, senza peggioramento degli altri outcomes materni.
Possiamo affermare che potrebbe essere vantaggioso offrire a tutte le donne nullipare, a basso rischio, a 39 settimane di gestazione, la possibilità di eseguire l’ITP senza le classiche indicazioni, iniziando, magari, proprio da quelle che per troppa ansia e stanchezza non riescono ad affrontare il termine della gestazione? Al fine però di valutare se i risultati raggiunti dallo studio ARRIVE trovino riscontro nella pratica clinica, si rende innanzitutto necessario tenere in considerazione le caratteristiche della propria popolazione ostetrica, che può differire da quella presa in esame da ARRIVE, costituita da donne americane con un BMI ≥ 30 nel 50% dei casi, nonché certamente indispensabile aderire al medesimo protocollo di induzione impiegato nel trial.
A margine delle evidenze, resta fondamentale domandarsi se sia corretto, dopotutto, medicalizzare un evento che di norma insorge spontaneamente e procede naturalmente senza l’intervento medico e/o di altri fattori esterni. Inoltre, lo studio non prende in esame il costo delle induzioni in termini di risorse sanitarie ed economiche, tenuto conto che, com’è facile prevedere, con la diffusione dell’induzione a 39 settimane circa il 50% delle donne in gravidanza sarebbe da indurre. Non si può infine prescindere dal considerare l’aspetto psicologico ed emotivo della donna che potrebbe trovarsi a sostenere sia l’esperienza stressante e ansiogena dell’induzione, caratterizzata generalmente da contrazioni più dolorose, travagli più lunghi, sia l’incertezza del parto vaginale, a causa di un maggior rischio di tachisitolia, distocia e fallimento dell’induzione. Non è un caso che solo il 27% delle donne a cui è stato proposto lo studio abbia deciso di aderirvi. In conclusione, sulla base dei risultati dello studio ARRIVE, nel caso delle nullipare a basso rischio con un’età gestazionale ≥ 39 settimane + 0 giorni, confermata ecograficamente vista l’aumentata morbidità respiratoria dei feti nati fra la 37^ settimana +0 e la 38^ settimana +6,6 l’ITP può considerarsi una pratica clinica sicura priva di importanti complicazioni materne e fetali. Ciò nonostante, indurre sistematicamente tutte le donne in gravidanza a 39 settimane, sarebbe un intervento molto dispendioso, con scarsi benefici e implicazioni solo parzialmente note.
L’ITP come metodo per ridurre il numero di tagli cesarei
In considerazione del monito, lanciato nel 1985 dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) con lo statement Who Statement on Caesarean Section Rates, volto a mantenere la percentuale dei tagli cesarei al di sotto del 10-15%, nonché dei risultati dell’ARRIVE, è dunque possibile considerare l’ITP come un valido strumento per ridurre il ricorso al parto chirurgico. Ciò è però vero solo in parte perché, come si legge nello studio in questione, si dovrebbero eseguire 28 induzioni per evitare un solo taglio cesareo, oltre che 3000 induzioni per evitare una sola morte fetale. Ciò considerato, per diminuire il numero di tagli cesarei, è certamente più conveniente mettere in campo altri interventi più rapidi, meno costosi e validati dalla letteratura. In tal senso, non si può prescindere dall’eseguire un’analisi conoscitiva della realtà ospedaliera in cui si presta servizio al fine di individuare gli ambiti di azione e circoscrivere le necessità della propria unità operativa. Utilizzando a tale scopo la nota classificazione di Robson proposta dall’OMS ad esempio, si potrebbero descrivere con maggior precisione le caratteristiche della popolazione ostetrica, individuando le motivazioni e, quindi, le criticità che con maggior frequenza conducono al taglio cesareo. Pertanto, nello specifico, prima di diffondere la procedura dell’induzione come metodo per ridurre il numero di tagli cesarei, sarebbe necessario conoscere il tasso locale di insuccesso dell’ITP, adottare un protocollo per l’induzione condiviso, riflettere sull’impiego della parto analgesia, confrontarsi sulla definizione di distocia e di anomalie del battito, nonché analizzare, sempre e comunque, magari con lo strumento dell’audit clinico, ogni singolo fallimento dell’induzione.
Bibliografia
[1] Fondazione Confalonieri Ragonese su mandato SIGO, AOGOI, AGUI. Induzione al travaglio di parto. Linee guida – Raccomandazione n°1. 9 giugno 2016.
[2] Grobman WA et all. Labor Induction versus Expectant Management in Low-Risk Nulliparous Women. N Engl J Med. 2018 Aug 9;379(6):513-526.
[3] Parikh LI, Reddy UM, Männistö T, et al. Neonatal outcomes in early term birth. Am J Obstet Gynecol 2014; 211(3): 265.e1265.e11.
[4] American College of Obstetricians and Gynecologists. Practice bulletin no. 146: management of late-term and postterm pregnancies. Obstet Gynecol 2014; 124: 390-6.
[5] ACOG Committee on Practice Bulletins — Obstetrics. ACOG practice bulletin no. 107: induction of labor. Obstet Gynecol 2009; 114: 386-97.
[6] Walker KF, Bugg GJ, Macpherson M, et al. Randomized trial of labor induction in women 35 years of age or older. N Engl J Med 2016;374:813-22.
[7] SMFM Statement on Elective Induction of Labor in Low-Risk Nulliparous Women at Term: the Arrive Trial. Am J Obstet Gynecol. 2019 Jul;221(1):B2-B4.