La Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (FOP)
Sabato, 29 febbraio 2020, si celebra l’XIII Edizione della Giornata delle Malattie Rare. Ente promotore della Giornata è UNIAMO F.I.M.R. Onlus, la Federazione delle Associazioni di pazienti affetti da malattia rara e l’Alleanza Nazionale Italiana di EURORDIS (European Organisation for Rare Disease).
Sul sito ufficiale dell’evento è spiegato che la data del 29 febbraio è stata scelta proprio trattandosi di “un giorno raro per i malati rari”. Anche Medici Oggi vuole dare il suo contributo alla celebrazione di questa ricorrenza, ospitando la testimonianza di Alessandra, che ha accettato il nostro invito a raccontarci cosa significa l’acronimo F.O.P. ma, soprattutto, cosa significa “lavorare in squadra” (come racconta lei) con un corpo con una malattia rara.
Cos’è la FOP?
La Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (FOP) è una malattia rara, che si caratterizza dalla formazione di osso all’interno dei tessuti molli. Si manifesta entro l’età adulta ed è progressivamente ingravescente, potendo portare fino all’immobilizzazione delle articolazioni coinvolte. Colpisce una persona ogni 2 milioni e, al momento, sono noti circa 2000-2500 casi in tutto il mondo. Generalmente è diagnosticata durante l’infanzia o l’adolescenza, ma è riscontrabile anche in età adulta in caso di mancata diagnosi in età giovanile.
Il gene mutato che causa la FOP è stato scoperto nel 2006, è il gene ACVR1 che codifica per un recettore di tipo I delle proteine morfogenetiche dell’osso. Io, in particolare, non ho la specifica mutazione del gene ACVR1, ma la mia malattia ha caratteristiche simili a quelle della FOP.

La Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (FOP) è una malattia rara caratterizzata dalla formazione di osso nei tessuti molli, che può determinare la progressiva riduzione della funzionalità di un’articolazione con conseguenti limitazioni nelle attività della vita quotidiana.
Come viene diagnosticata la FOP?
Il gene ACVR1 è stato individuato come responsabile della mutazione della FOP, ma ci sono casi in cui tale mutazione non è stata rilevata. È molto diffusa la presenza di alluci valghi, non sempre presenti e non segno patognomonico (n.d.r. sintomo che consente la diagnosi) della patologia.
È geneticamente trasmissibile come gene dominante al 50% in caso di gravidanza, anche se è più diffusa la mutazione spontanea che la trasmissione genetica.
È generalmente posta in diagnosi differenziale con esostosi, miosite ossificante o forme di osteosarcoma.
Come viene trattata la FOP?
Possono essere prescritti antidolorifici e antinfiammatori per controllare la sintomatologia dolorosa. L’uso del cortisone può essere utile nelle fasi acute di ossificazione al fine di ridurre la formazione eterotopica di osso, ma è sconsigliato come terapia cronica.
Quali procedure è meglio evitare a pazienti con la FOP?
Nei pazienti con FOP è opportuno non operare le formazioni ossee che vengono riscontrate nei tessuti molli ed evitare biopsie e iniezioni intramuscolari. È inoltre necessario evitare ogni possibile trauma, anche di lieve entità; ematomi, ecchimosi, cadute, febbre e soprattutto interventi chirurgici (anche per altre patologie) possono velocizzare il processo di ossificazione dei tessuti. Sono sconsigliate anche le anestesie locali per interventi dentistici. In caso di assoluta necessità di un’anestesia generale, questa deve essere eseguita con intubazione in fibroscopio tramite il naso, evitando di iperestendere rachide cervicale. In caso di intervento chirurgico, poi, il quadro respiratorio deve essere attentamente valutato prima della procedura e, se necessario, deve essere previsto un supporto post-operatorio di tipo pneumologico.
Cosa bisogna consigliare a un paziente con FOP?
È fondamentale prevenire qualsiasi tipo di trauma: lavorando sull’equilibrio, sulla sicurezza della persona (per esempio utilizzando stampelle o carrozzine per il movimento), sulla sicurezza ambientale, evitando tutto ciò che può essere causa di inciampo (come scale, tappeti, cavi elettrici, superfici scivolose o irregolari) e utilizzando calzature comode e ogni ausilio utile a ridurre il rischio di caduta.
È consigliabile monitorare la mobilità e funzionalità respiratoria, intervenendo ove necessario con fisioterapia mirata o terapia farmacologica.
Si consiglia particolare attenzione all’igiene orale, alla prevenzione di carie e controlli frequenti per prevenire problemi dentali seri. Se c’è difficoltà a usare lo spazzolino classico, è possibile valutare l’uso di uno elettrico o dell’idropulsore. In ogni caso bisogna prestare grande attenzione a non forzare l’apertura della bocca o l’apertura prolungata, per evitare di sovraccaricare l’articolazione temporo-mandibolare.
Può anche essere utile l’uso di un bite notturno per evitare bruxismo, rilassare la muscolatura del viso e cercare di mantenere l’apertura anche durante le ore notturne.
Quali consigli puoi dare alle famiglie di bambini in età scolare?
È importante informare le insegnanti o i professori della patologia, per renderli consapevoli delle attività potenzialmente pericolose, affinché possano prestare attenzione a evitare al bambino traumi durante la permanenza in ambito scolastico. Spesso si consiglia l’esonero dall’attività fisica e si suggerisce supervisione durante l’intervallo, evitando giochi troppo vivaci, scivoli, altalene, biciclette, giochi con la palla. In ogni caso sono da prediligere giochi da seduti.
È preferibile uno zaino con carrello, evitando al bambino di trasportare pesi. Si consiglia poi di preferire una sedia comoda, con cuscini in base al bisogno.
In molti casi è opportuno che si conceda di registrare le lezioni (per prevenire la faticabilità) e che sia previsto maggior tempo nello svolgimento dei compiti in classe.
Dove si possono trovare maggiori informazioni sulla FOP?
Per ogni informazione clinica più specifica o consulti è possibile rivolgersi all’Ospedale Pediatrico Istituto Giannina Gaslini di Genova oppure all’Associazione F.O.P. Italia, che mette a disposizione documentazione dettagliata, contatti e supporto associazionistico.
L’Associazione F.O.P. Italia è costituita da genitori e parenti di persone, principalmente bambini, malati di FOP. Come mai fai parte anche tu di questa Associazione, pur avendo una malattia diversa dalla FOP?
Io non ho la specifica mutazione del gene ACVR1, ma i miei problemi, sintomi e le mie reazioni fisiche sono molti simili, seppur molto meno gravi, di quelli dei pazienti con FOP.
Per me, quindi, seguire le loro Linee Guida di cautela e prevenzione è la miglior tutela possibile.
È importante, poi, sottolineare il valore psicologico ed emotivo di far parte di un gruppo di supporto e condivisione, che aiuta a sentirsi meno soli e confusi nell’affrontare una malattia rara o sconosciuta.
Come e quando hai scoperto questa tua patologia?
Nel 1995 abbiamo notato un nodulo duro all’interno del gomito sinistro. Sono stata quindi sottoposta a un intervento di asportazione poiché si temeva fosse una massa tumorale, ma è stato invece diagnosticato come “esostosi”.
Dopo quel primo nodulo sono comparsi altri noduli in corrispondenza delle articolazioni principali e della colonna vertebrale, con conseguente limitazione del movimento, della forza fisica e della resistenza allo sforzo motorio.
Anche l’apparato cardio-respiratorio ne è rimasto coinvolto indirettamente, sia per la limitazione della motilità del rachide, sia per l’importante faticabilità. Per questo motivo, il costante monitoraggio dello stato clinico, è indispensabile per prevenire nuove problematiche cliniche e per identificare nuove possibili opportunità terapeutiche.
Quali sono i principali problemi che si incontrano appena ricevuta la diagnosi?
Innanzitutto la solitudine: la mancanza di un supporto psicologico per pazienti e familiari, la difficoltà nel trovare un’associazione di riferimento. Oggi, grazie a Internet, fortunatamente non è più così.
Poi la burocrazia: è ancora troppa e troppo “ottusa”, troppo confusa, anche per gli operatori. Per chi ne è estraneo è addirittura incomprensibile.
Infine la mancanza di comunicazione: tra i reparti, tra i medici, tra gli uffici. Troppo “medichese” e troppo poco rapporto umano. Quest’ultimo punto, però, è certamente quello in più rapida e positiva evoluzione.
Cosa è cambiato nella tua vita dopo la diagnosi?
Direi tutto e niente. La prima diagnosti è arrivata all’età di 12 anni. Ricordo la comparsa di dolore fisico e l’impossibilità di giocare con gli amici. Ricordo molti ospedali diversi e molti medici. Sono cresciuta quasi normalmente in tutta la prima parte della mia adolescenza, se non si considerano i frequenti controlli medici e i trattamenti fisioterapici. Sono stata educata dai miei genitori affinché, fin da subito, fossi autonoma e responsabile, anche nella mia tutela clinica.
Quando nel 2007 ho scoperto l’Associazione F.O.P. e iniziato a condividere il mio trascorso con altri pazienti, in particolare con chi stava iniziando la sua nuova vita, mi ha offerto la motivazione per trasformare tutta la sofferenza attraversata in qualcosa di utile per gli altri. Potevo essere per altri pazienti il momento di ascolto che io, durante il mio percorso, non avevo incontrato.
Cosa hai imparato dalla tua malattia?
Ho imparato ad apprezzare quello che ho e le persone che mi sono vicine, ho imparato che spesso i problemi sono più “piccoli” e risolvibili di quanto possa apparire. Ho imparato a non giudicare, perché da fuori non è possibile sapere cosa una persona affronta dentro.
Vediamo sempre i nostri “limiti” come confini da non superare, come barriere invalicabili. Ma sono invece dei punti di partenza da cui ricominciare. Ci focalizziamo su ciò che non possiamo fare o che non possiamo fare “come gli altri”, ma ci dimentichiamo di cosa invece potremmo essere in grado di fare “a modo nostro”.
Come vivi il rapporto con il tuo corpo?
È stato un lungo lavoro. All’inizio tendevo a ignorare il mio corpo: erano troppi i limiti e troppo il dolore, e tendevano a manifestarsi troppo spesso. Cercavo di vivere con un corpo “normale”, pur avendo un corpo “diverso”. Il tutto con risultati disastrosi perché non c’era intesa né collaborazione tra corpo e mente, non c’era armonia. Ho dovuto imparare ad “ascoltare” e accettare il mio corpo, ad amare le sue capacità e rispettare i suoi limiti e dolori. Abbiamo “fatto pace” e incominciato a “lavorare in squadra”, invece che “sfidarci”.
Quali sono le domande e le affermazioni che ti infastidiscono di più da parte delle persone attorno a te?
“Perché non chiedi mai aiuto?”
Se ho bisogno, lo chiedo. Ma di solito, anche se con fatica, cerco di essere autonoma perché, finché lo faccio da sola, riesco a farlo.
“Perché non dici che hai male?”
Perché ho sempre male: a volte è un “fastidio”, altre volte si manifesta, ma è sopportabile. Poi purtroppo c’è anche il male, quello “brutto”, che mi mette KO.
“Perché proprio a te?”
Perché non a me? Non sono migliore degli altri o “speciale” rispetto a chiunque altro per doverne essere “esente” o “graziata”. Questa è la mia condizione e faccio del mio meglio per affrontarla, così come sono.
Com’è la tua vita oggi?
Cerco di mantenere una vita il più normale possibile, pur considerando i miei limiti. Lavoro, studio, mantengo i miei hobbies e incontro gli amici. Tutto però gravita attorno ai controlli medici, al trattamento riabilitativo e al costante mantenimento della mia autonomia.
Attenzione, prevenzione e resilienza sono le parole chiave che guidano ogni mia attività.
Vivere con una malattia rara significa adattarsi, improvvisare ed evolversi con “lei”, cercando nuovi modi, anche inventandoli, per continuare la propria vita senza chiudersi sotto una campana di vetro.
In passato ho trascorso molto tempo guardando fuori dalla finestra le cose che non potevo fare, poi sono uscita e ho “inventato” il mio modo per farle.